Sotto Sotto
Speciale Cava dei dinosauri 2, la storia della scoperta
Le vicende che hanno interessato l'area
mercoledì 21 settembre 2011
Agosto 2011, primo pomeriggio. Basta percorrere pochi chilometri dal centro di Altamura in direzione Santeramo per arrivare alla cava De Lucia, meglio nota come Cava dei dinosauri. Spicca per il colore rossastro delle rocce, la cui stratificazione scandisce la storia del luogo. Sulla sinistra della Provinciale 235, una strada sterrata che conduce al cancello. Inesistente. Qualcuno lo ha abbattuto per poter entrare. Anche le recinzioni sono state danneggiate. Si intravedono quattro auto parcheggiate nei pressi del sito. All'interno della cava alcune persone passeggiano guardando per terra. Osservano le orme. Sebbene l'ingresso sia vietato perché la cava si trova in una proprietà privata (appartiene alla Valle dei Dinosauri Srl, già Ecospi), la curiosità di visitatori e cittadini sembra non conoscere freni.
Un patrimonio unico al mondo merita sicuramente l'attenzione mondiale. A dirlo sono gli esperti, che hanno vissuto la storia della scoperta sin dall'inizio, ripulendo e mappando le impronte. A parlare sono i loro studi, che fanno emergere l'importanza del sito senza necessità di botta e risposta. Attualmente, purtroppo, l'area è chiusa al pubblico. In teoria. Perché nei fatti i fruitori ci sono. Ogni giorno. La zona appare abbandonata a se stessa, senza protezioni. Chiunque può entrarci. In qualsiasi momento. La paleosuperficie con le impronte è, per legge, di proprietà dello Stato. Su di essa dal 2000 c'è il vincolo della Soprintendenza Archeologica della Puglia. La cava per l'estrazione di inerti in cui è stata scoperta appartiene, invece, ad un privato, che al momento del rinvenimento aveva voce in capitolo su tutto ciò che circondava la paleosuperficie, quindi anche sui luoghi per accedervi. Nel 2006 la proprietà privata concesse la servitù di passaggio. In questo modo gli enti pubblici avrebbero potuto programmare le loro attività in vista anche di un progetto redatto dagli uffici tecnici del Comune di Altamura. Su di esso si voleva investire un milione di euro, finanziamento statale che l'Amministrazione comunale, ente coordinatore, avrebbe dovuto gestire in convenzione con la Soprintendenza. Il progetto prevedeva la messa in sicurezza della cava per l'accesso alla paleosupeficie, interventi urgenti per la conservazione delle impronte e la sistemazione della strada di accesso al sito. Non fu fatto nulla perché l'Amministrazione non poteva utilizzare fondi su una proprietà privata. Gli uffici tecnici, inoltre, rilevarono che la servitù non bastava. Era necessaria la proprietà pubblica.
La scoperta avvenne nella primavera del 1999 ad opera di due geologi dell'Università di Ancona, Massimo Sarti e Michele Claps, durante un rilevamento geologico. Le strutture erano troppo regolari per essere frutto di semplici fenomeni fisici. Il giacimento fu studiato dal paleontologo Umberto Nicosia e dagli altri icnologi dell'Università "La Sapienza" di Roma, che confermarono l'ipotesi iniziale. Si trattava di un affioramento di orme di dinosauri, il primo ad essere rinvenuto nell'Italia meridionale. «Il sito - scrivevano Nicosia e Fabio Massimo Petti in uno studio relativo alla scoperta, pubblicato nel 2004 sulla rivista storica "Altamura" dell'Archivio Biblioteca Museo Civico - si è immediatamente rivelato uno dei giacimenti a impronte più importanti e più spettacolari del mondo sia per l'elevato numero di singole impronte e di piste impresse su un'unica superficie di strato che per il loro particolare stato di conservazione». Gli agenti atmosferici hanno minato fortemente quel particolare stato di conservazione. Molte orme, ripulite in passato dagli studiosi, si mostrano attualmente piene di pietrisco, di terreno e di detriti trasportati dalla pioggia a valle. Visibili le tracce di fango lasciate dalle precipitazioni. Dati furono diffusi dall'equipe del Dipartimento di Scienze della Terra de "La Sapienza" di Roma già a luglio del 2000 (sono in allegato all'articolo). In uno scritto, in particolare, si fa riferimento ad una nuova icnospecie, l'Apulosauripus federicianus, il cui nome deriva da Federico II di Svevia, «that restored the town of Altamura (Federicus me reparavit as written in the seal of the town)». Un adrosauro quadrupede tridattilo, erbivoro e di taglia media. Nello studio c'è la ricostruzione delle coppie mano-piede. In base alle orme, gli esperti hanno ipotizzato che il rettile fosse alto sei metri e con un peso di due tonnellate.
Le orme risalgono al Cretacico superiore (Santoniano). Sono collocabili precisamente fra gli 83,5 e gli 85,8 milioni di anni fa e si trovano in località Pontrelli. Il tempo le ha impresse nel calcare di Altamura, formazione tipica proprio del Cretacico superiore nella parte centrale dell'«Avampaese apulo». La conservazione è frutto di una molteplicità di processi. Come spiega Antonia Iannone del Dipartimento di Geologia e Geofisica dell'Università di Bari, va messa in evidenza «la peculiarità che hanno i fanghi e le sabbie carbonatiche marine di cementare velocemente, allorché vengono esposte all'aria in condizioni climatiche calde. Un ulteriore importante processo di litificazione ha riguardato i fanghi caratterizzati da una elevata porosità e da un alto contenuto di acqua, quando, per effetto del carico esercitato su di essi dalla pressione delle zampe pesanti dei dinosauri, sono soggetti alla compattazione per simultanea espulsione dell'acqua. A questi processi si deve aggiungere la rapida colonizzazioni delle superfici esposte da parte delle microscopiche alghe coloniali mucillagginose, che hanno ricoperto anche le cavità prodotte dalle orme, e l'apporto di nuovi sedimenti calcarei fini, che hanno definitivamente coperto e fossilizzato la superficie delle orme».
La paleosuperficie che le raccoglie è costituita da un unico strato di circa 15.000 metri quadri. Gli studiosi stimano la presenza di un numero di orme a profondità variabile che va dalle 25.000 alle 30.000. Al momento della scoperta le cavità delle impronte presentavano dei riempimenti solidificati di sabbia carbonatica mista ad alghe. "Calchi" che gli studiosi hanno estratto durante la ripulitura. Il luogo corrispondeva ad un ecosistema di piana di marea «temporaneamente emerso ed episodicamente soggetto a variazioni ambientali di piccola scala». I grossi rettili si muovevano su un terreno estremamente fangoso, costituito da una sabbia finissima e/o da fanghi calcarei, formati da gusci di microscopici organismi animali marini e vegetali (alghe) e dallo loro disgregazione. In alcune impronte sono ben visibili le venature della pelle del dinosauro ed il sollevamento di fango, poi cristallizzato, creato nel momento in cui il rettile poggiava la zampa sul terreno acquoso per poi rialzarla. L'atmosfera particolare che si respira nella cava, unita alle tracce dei "movimenti" dei rettili, lascia ben immaginare lo scenario così come doveva apparire circa 85 milioni di anni fa. Gli studiosi attribuiscono le impronte a dinosauri quadrupedi erbivori, in dettaglio «ad un numero notevole di Ornitischi, più precisamente Ornitopodi, anche se la presenza di Tireophori o Marginocephalia non può essere scartata». Gli esperti hanno suddiviso la cava in quattro camminamenti (piste), individuando per ciascuno un numero variabile di coppie manus-pes (mano-piede) tridattili (a tre dita). Assenti del tutto tracce della coda. Sono poche le piste di ornitopodi quadrupedi studiate, forse per la scarsità di affioramenti ad impronte del Cretacico superiore e al tipo di andatura di questi animali (erano bipedi facoltativi e spesso si muovevano su due zampe). Una corrisponde ad un nuovo icnogenere, l'Apulosauripus federicianus. Fra le piste ci sono molte affinità, il che dimostra un modo di incedere simile per gli animali. Lento. I motivi, forse, vanno ricercati nelle difficoltà incontrate nel procedere su un substrato estremamente molle, ma non in tutta l'area.
Il 13 gennaio 2009, in occasione del 10° anniversario della scoperta, il direttore regionale dei Beni culturali Ruggiero Martines ed il sindaco Mario Stacca indissero una conferenza di servizi per la cava dei dinosauri con lo scopo di definire soluzioni tecnico-amministrative che potessero garantire la pubblica fruibilità del bene. Il sito, infatti, era ancora chiuso al pubblico. Solo nei primi tempi la cava accolse ufficialmente cittadini e visitatori, poi l'accesso fu interdetto per ragioni di sicurezza. Da allora la situazione è rimasta tale.
«L'affioramento di Altamura - scrivevano Nicosia e Petti ad 8 anni dalla scoperta - può essere considerato il più importante giacimento italiano, sia dal punto di vista paleobiogeografico che da quello strettamente icnologico. Purtroppo il generale disinteresse del mondo politico e la mancanza di finanziamenti ne hanno ritardato e ne impediscono materialmente uno studio adeguato. Questa situazione è ulteriormente complicata dalle condizioni climatiche particolarmente aggressive, che destano molte preoccupazioni sulla sua conservazione futura. Ancora troppo poco studiato per la somma di tali problemi, l'affioramento dovrebbe rimanere l'obiettivo più importante degli icnologi italiani nei prossimi anni».
Seguono ulteriori notizie in un altro articolo.
Un patrimonio unico al mondo merita sicuramente l'attenzione mondiale. A dirlo sono gli esperti, che hanno vissuto la storia della scoperta sin dall'inizio, ripulendo e mappando le impronte. A parlare sono i loro studi, che fanno emergere l'importanza del sito senza necessità di botta e risposta. Attualmente, purtroppo, l'area è chiusa al pubblico. In teoria. Perché nei fatti i fruitori ci sono. Ogni giorno. La zona appare abbandonata a se stessa, senza protezioni. Chiunque può entrarci. In qualsiasi momento. La paleosuperficie con le impronte è, per legge, di proprietà dello Stato. Su di essa dal 2000 c'è il vincolo della Soprintendenza Archeologica della Puglia. La cava per l'estrazione di inerti in cui è stata scoperta appartiene, invece, ad un privato, che al momento del rinvenimento aveva voce in capitolo su tutto ciò che circondava la paleosuperficie, quindi anche sui luoghi per accedervi. Nel 2006 la proprietà privata concesse la servitù di passaggio. In questo modo gli enti pubblici avrebbero potuto programmare le loro attività in vista anche di un progetto redatto dagli uffici tecnici del Comune di Altamura. Su di esso si voleva investire un milione di euro, finanziamento statale che l'Amministrazione comunale, ente coordinatore, avrebbe dovuto gestire in convenzione con la Soprintendenza. Il progetto prevedeva la messa in sicurezza della cava per l'accesso alla paleosupeficie, interventi urgenti per la conservazione delle impronte e la sistemazione della strada di accesso al sito. Non fu fatto nulla perché l'Amministrazione non poteva utilizzare fondi su una proprietà privata. Gli uffici tecnici, inoltre, rilevarono che la servitù non bastava. Era necessaria la proprietà pubblica.
La scoperta avvenne nella primavera del 1999 ad opera di due geologi dell'Università di Ancona, Massimo Sarti e Michele Claps, durante un rilevamento geologico. Le strutture erano troppo regolari per essere frutto di semplici fenomeni fisici. Il giacimento fu studiato dal paleontologo Umberto Nicosia e dagli altri icnologi dell'Università "La Sapienza" di Roma, che confermarono l'ipotesi iniziale. Si trattava di un affioramento di orme di dinosauri, il primo ad essere rinvenuto nell'Italia meridionale. «Il sito - scrivevano Nicosia e Fabio Massimo Petti in uno studio relativo alla scoperta, pubblicato nel 2004 sulla rivista storica "Altamura" dell'Archivio Biblioteca Museo Civico - si è immediatamente rivelato uno dei giacimenti a impronte più importanti e più spettacolari del mondo sia per l'elevato numero di singole impronte e di piste impresse su un'unica superficie di strato che per il loro particolare stato di conservazione». Gli agenti atmosferici hanno minato fortemente quel particolare stato di conservazione. Molte orme, ripulite in passato dagli studiosi, si mostrano attualmente piene di pietrisco, di terreno e di detriti trasportati dalla pioggia a valle. Visibili le tracce di fango lasciate dalle precipitazioni. Dati furono diffusi dall'equipe del Dipartimento di Scienze della Terra de "La Sapienza" di Roma già a luglio del 2000 (sono in allegato all'articolo). In uno scritto, in particolare, si fa riferimento ad una nuova icnospecie, l'Apulosauripus federicianus, il cui nome deriva da Federico II di Svevia, «that restored the town of Altamura (Federicus me reparavit as written in the seal of the town)». Un adrosauro quadrupede tridattilo, erbivoro e di taglia media. Nello studio c'è la ricostruzione delle coppie mano-piede. In base alle orme, gli esperti hanno ipotizzato che il rettile fosse alto sei metri e con un peso di due tonnellate.
Le orme risalgono al Cretacico superiore (Santoniano). Sono collocabili precisamente fra gli 83,5 e gli 85,8 milioni di anni fa e si trovano in località Pontrelli. Il tempo le ha impresse nel calcare di Altamura, formazione tipica proprio del Cretacico superiore nella parte centrale dell'«Avampaese apulo». La conservazione è frutto di una molteplicità di processi. Come spiega Antonia Iannone del Dipartimento di Geologia e Geofisica dell'Università di Bari, va messa in evidenza «la peculiarità che hanno i fanghi e le sabbie carbonatiche marine di cementare velocemente, allorché vengono esposte all'aria in condizioni climatiche calde. Un ulteriore importante processo di litificazione ha riguardato i fanghi caratterizzati da una elevata porosità e da un alto contenuto di acqua, quando, per effetto del carico esercitato su di essi dalla pressione delle zampe pesanti dei dinosauri, sono soggetti alla compattazione per simultanea espulsione dell'acqua. A questi processi si deve aggiungere la rapida colonizzazioni delle superfici esposte da parte delle microscopiche alghe coloniali mucillagginose, che hanno ricoperto anche le cavità prodotte dalle orme, e l'apporto di nuovi sedimenti calcarei fini, che hanno definitivamente coperto e fossilizzato la superficie delle orme».
La paleosuperficie che le raccoglie è costituita da un unico strato di circa 15.000 metri quadri. Gli studiosi stimano la presenza di un numero di orme a profondità variabile che va dalle 25.000 alle 30.000. Al momento della scoperta le cavità delle impronte presentavano dei riempimenti solidificati di sabbia carbonatica mista ad alghe. "Calchi" che gli studiosi hanno estratto durante la ripulitura. Il luogo corrispondeva ad un ecosistema di piana di marea «temporaneamente emerso ed episodicamente soggetto a variazioni ambientali di piccola scala». I grossi rettili si muovevano su un terreno estremamente fangoso, costituito da una sabbia finissima e/o da fanghi calcarei, formati da gusci di microscopici organismi animali marini e vegetali (alghe) e dallo loro disgregazione. In alcune impronte sono ben visibili le venature della pelle del dinosauro ed il sollevamento di fango, poi cristallizzato, creato nel momento in cui il rettile poggiava la zampa sul terreno acquoso per poi rialzarla. L'atmosfera particolare che si respira nella cava, unita alle tracce dei "movimenti" dei rettili, lascia ben immaginare lo scenario così come doveva apparire circa 85 milioni di anni fa. Gli studiosi attribuiscono le impronte a dinosauri quadrupedi erbivori, in dettaglio «ad un numero notevole di Ornitischi, più precisamente Ornitopodi, anche se la presenza di Tireophori o Marginocephalia non può essere scartata». Gli esperti hanno suddiviso la cava in quattro camminamenti (piste), individuando per ciascuno un numero variabile di coppie manus-pes (mano-piede) tridattili (a tre dita). Assenti del tutto tracce della coda. Sono poche le piste di ornitopodi quadrupedi studiate, forse per la scarsità di affioramenti ad impronte del Cretacico superiore e al tipo di andatura di questi animali (erano bipedi facoltativi e spesso si muovevano su due zampe). Una corrisponde ad un nuovo icnogenere, l'Apulosauripus federicianus. Fra le piste ci sono molte affinità, il che dimostra un modo di incedere simile per gli animali. Lento. I motivi, forse, vanno ricercati nelle difficoltà incontrate nel procedere su un substrato estremamente molle, ma non in tutta l'area.
Il 13 gennaio 2009, in occasione del 10° anniversario della scoperta, il direttore regionale dei Beni culturali Ruggiero Martines ed il sindaco Mario Stacca indissero una conferenza di servizi per la cava dei dinosauri con lo scopo di definire soluzioni tecnico-amministrative che potessero garantire la pubblica fruibilità del bene. Il sito, infatti, era ancora chiuso al pubblico. Solo nei primi tempi la cava accolse ufficialmente cittadini e visitatori, poi l'accesso fu interdetto per ragioni di sicurezza. Da allora la situazione è rimasta tale.
«L'affioramento di Altamura - scrivevano Nicosia e Petti ad 8 anni dalla scoperta - può essere considerato il più importante giacimento italiano, sia dal punto di vista paleobiogeografico che da quello strettamente icnologico. Purtroppo il generale disinteresse del mondo politico e la mancanza di finanziamenti ne hanno ritardato e ne impediscono materialmente uno studio adeguato. Questa situazione è ulteriormente complicata dalle condizioni climatiche particolarmente aggressive, che destano molte preoccupazioni sulla sua conservazione futura. Ancora troppo poco studiato per la somma di tali problemi, l'affioramento dovrebbe rimanere l'obiettivo più importante degli icnologi italiani nei prossimi anni».
Seguono ulteriori notizie in un altro articolo.