NUTRI_MENTI
Esiste la dipendenza dal cibo?
Un'attenta analisi sul tema
venerdì 20 maggio 2011
Studi sempre più numerosi evidenziano come cibi ricchi di grassi o zuccheri siano capaci di indurre dipendenza fino a causare condizioni di sovrappeso, obesità e comportamenti alimentari disfunzionali. Il cibo considerato dunque alla stregua del fumo e delle sostanze stupefacenti. Vediamo intanto di comprendere cosa si intenda per dipendenza. In termini generali una persona dipende da qualcosa quando mostra di non poter esercitare un controllo sull'assunzione di una sostanza, su un'abitudine, su un comportamento. La forma di dipendenza più comunemente nota è quella da sostanze psicoattive, propriamente detta tossicodipendenza. Proprio dal considerare quest'ultima si può partire per familiarizzare con termini e meccanismi d'azione comuni a tutte le diverse forme di dipendenza. In condizioni di abuso di sostanze, si evidenziano in particolare due tipi di dipendenza: la dipendenza fisica caratterizzata da sintomi fisici e psichici legati a modificazioni neurochimiche e neurovegetative che le stesse sostanze sono in grado di indurre; la dipendenza psichica che induce a ricorrere a dosi sempre più massicce della sostanza per l'effetto gratificante che ne deriva. Quest'ultima costituisce una forma molto potente di dipendenza capace di mantenere e cronicizzare una condotta di abuso, anche in assenza di dipendenza fisica.
Come può tutto questo riguardare l'alimentazione? Studiosi e nutrizionisti sostengono da tempo che il gusto intenso di alcuni cibi cosiddetti "spazzatura" come patatine fritte, cibi troppo dolci e salati in genere, inducano comportamenti di dipendenza perchè sono in grado di attivare nell'organismo delle vere e proprie reazioni chimiche. Vediamo come. Gli alimenti molto grassi, dolci, a base di carboidrati causano l'aumento dell'insulina, un ormone che il pancreas produce quando il livello di glucosio in circolo è troppo alto. Quando si assumono i cosiddetti cibi spazzatura, ovvero cibi grassi, pieni di zuccheri e poveri di fibre, l'insulina viene prodotta in quantità elevata e questo provoca una sorta di assuefazione, cui corrisponde una sensazione di piacere e di appagamento legata al gusto. Anche il sale in quantità eccessive, snaturando e alterando i sapori, porta il palato ad assuefarsi creando così il rischio di una vera dipendenza. Dallo studio dei meccanismi cerebrali dei topi, ad esempio, i ricercatori americani hanno osservato che gli animaletti, davanti al cibo spazzatura si trasformano in consumatori compulsivi. Di fronte alla scelta di bacon, salsicce, dolci, cioccolato, cibi naturali e freschi i topi si dirigono verso il cibo spazzatura (bacon, salsicce, ecc) ingrassando a dismisura. Il comportamento alimentare umano è certamente più complesso e risponde a spinte motivazionali più "evolute" rispetto a quello animale. Accanto alla fame biologica che permette di capire quando l'organismo ha finito o sta per finire le proprie risorse, una seconda e più forte spinta ad alimentarsi è rappresentata dal desiderio. Il desiderio per un particolare cibo può attivarsi anche quando l'organismo non si trova in uno stato di bisogno fisiologico. Il termine "food craving (desiderio insaziabile di cibo)" è spesso usato per descrivere un intenso desiderio di consumare un alimento particolare o un tipo di alimento a cui è difficile resistere. Sulla dimensione del desiderio intervengono tanto gli aspetti sensoriali del cibo (colore, forma, gusto) quanto quelli psicologici correlati alle emozioni. In questo senso il cibo può creare un problema di dipendenza psicologica soprattutto quando acquista un valore sostitutivo di un affetto negato e non riconosciuto.
Come l'alcol o qualunque altra sostanza cosiddetta "psicoattiva" possono essere assunte per lenire angosce e dolori giudicati insopportabili, così un alimento può impropriamente svolgere un'azione antidepressiva, diventare antidoto ad ansia, noia, stress innescando il tipico circolo vizioso che si riscontra all'origine di qualunque forma di dipendenza. Con le nuove tecniche di risonanza magnetica i ricercatori hanno potuto studiare il cervello dei pazienti con comportamenti dipendenti, osservando come il sistema di ricompensa del cervello, in gran parte basato sul neurotrasmettitore dopamina, cerchi continuamente la stessa sostanza che produce piacere (droga, alcol o altro), mentre i centri che controllano l'inibizione vanno in tilt. Il meccanismo è simile in tutte le forme di dipendenza e abuso, compreso il comportamento alimentare compulsivo che spesso si riscontra nei pazienti obesi. Tutto questo ci aiuta ancora una volta a comprendere come la valutazione di un problema alimentare non possa essere condotta esclusivamente con la bilancia, ma necessiti di un'attenzione clinica complessa volta a considerare la persona e i suoi vissuti psicologici.
Dott.ssa Rosa Tafuni
Psicologa, Specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapia.
Come può tutto questo riguardare l'alimentazione? Studiosi e nutrizionisti sostengono da tempo che il gusto intenso di alcuni cibi cosiddetti "spazzatura" come patatine fritte, cibi troppo dolci e salati in genere, inducano comportamenti di dipendenza perchè sono in grado di attivare nell'organismo delle vere e proprie reazioni chimiche. Vediamo come. Gli alimenti molto grassi, dolci, a base di carboidrati causano l'aumento dell'insulina, un ormone che il pancreas produce quando il livello di glucosio in circolo è troppo alto. Quando si assumono i cosiddetti cibi spazzatura, ovvero cibi grassi, pieni di zuccheri e poveri di fibre, l'insulina viene prodotta in quantità elevata e questo provoca una sorta di assuefazione, cui corrisponde una sensazione di piacere e di appagamento legata al gusto. Anche il sale in quantità eccessive, snaturando e alterando i sapori, porta il palato ad assuefarsi creando così il rischio di una vera dipendenza. Dallo studio dei meccanismi cerebrali dei topi, ad esempio, i ricercatori americani hanno osservato che gli animaletti, davanti al cibo spazzatura si trasformano in consumatori compulsivi. Di fronte alla scelta di bacon, salsicce, dolci, cioccolato, cibi naturali e freschi i topi si dirigono verso il cibo spazzatura (bacon, salsicce, ecc) ingrassando a dismisura. Il comportamento alimentare umano è certamente più complesso e risponde a spinte motivazionali più "evolute" rispetto a quello animale. Accanto alla fame biologica che permette di capire quando l'organismo ha finito o sta per finire le proprie risorse, una seconda e più forte spinta ad alimentarsi è rappresentata dal desiderio. Il desiderio per un particolare cibo può attivarsi anche quando l'organismo non si trova in uno stato di bisogno fisiologico. Il termine "food craving (desiderio insaziabile di cibo)" è spesso usato per descrivere un intenso desiderio di consumare un alimento particolare o un tipo di alimento a cui è difficile resistere. Sulla dimensione del desiderio intervengono tanto gli aspetti sensoriali del cibo (colore, forma, gusto) quanto quelli psicologici correlati alle emozioni. In questo senso il cibo può creare un problema di dipendenza psicologica soprattutto quando acquista un valore sostitutivo di un affetto negato e non riconosciuto.
Come l'alcol o qualunque altra sostanza cosiddetta "psicoattiva" possono essere assunte per lenire angosce e dolori giudicati insopportabili, così un alimento può impropriamente svolgere un'azione antidepressiva, diventare antidoto ad ansia, noia, stress innescando il tipico circolo vizioso che si riscontra all'origine di qualunque forma di dipendenza. Con le nuove tecniche di risonanza magnetica i ricercatori hanno potuto studiare il cervello dei pazienti con comportamenti dipendenti, osservando come il sistema di ricompensa del cervello, in gran parte basato sul neurotrasmettitore dopamina, cerchi continuamente la stessa sostanza che produce piacere (droga, alcol o altro), mentre i centri che controllano l'inibizione vanno in tilt. Il meccanismo è simile in tutte le forme di dipendenza e abuso, compreso il comportamento alimentare compulsivo che spesso si riscontra nei pazienti obesi. Tutto questo ci aiuta ancora una volta a comprendere come la valutazione di un problema alimentare non possa essere condotta esclusivamente con la bilancia, ma necessiti di un'attenzione clinica complessa volta a considerare la persona e i suoi vissuti psicologici.
Dott.ssa Rosa Tafuni
Psicologa, Specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapia.