Natura Murgiana

Le dighe nel nulla

Quattro piccoli invasi ai piedi dell’altopiano murgiano ricordano una vicenda di spreco di denaro pubblico

Quattro strani specchi d'acqua appaiono a chi sorvola l'Alta Murgia: incassate nel costone murgiano, in alcune delle lame più profonde del comprensorio, sono, in realtà, poco più che "pozzanghere". Essi attirano l'attenzione non tanto per il riverbero delle acque colpite dal sole, né tantomeno per la rigogliosità della vegetazione che s'accompagna solitamente alle aree umide, ma per il cemento armato che le circonda.

Si tratta di quattro mini-dighe costruite all'inizio degli anni '90, inserite in un progetto ben più ampio, voluto dal Consorzio di Bonifica Appulo-Lucano, il cui risultato finale doveva essere il rifornimento idrico e la realizzazione di una diga sul torrente Capodacqua, affluente sinistro del Bradano. Le opere di sistemazione idraulica a monte avevano lo scopo di raccogliere le acque meteoriche e di scorrimento murgiane e di convogliarle nella diga e comprendevano 5 invasi, con una copertura totale di 8 ettari di Murgia ed una portata teorica di 250.000 metri cubi d'acqua; gli invasi in questione dovevano essere raccordati con la diga per mezzo di oltre 50 km di canali in cemento e 500 briglie di contenimento, quasi interamente realizzate.

Così, facendo una semplice passeggiata nei pressi di Lamatorta, Jazzo Filieri, Jazzo di Cristo e Jazzo Fornasiello (territori comunali di Poggiorsini, Gravina e Spinazzola), il visitatore, colpito dalla bellezza di queste antiche e cadenti testimonianze architettoniche, noterà sbalordito anche queste incomprensibili colate di cemento; chiunque coglierebbe immediatamente l'inutilità di tali opere, alla luce della totale mancanza di acque superficiali che caratterizza il nostro altopiano, un "colabrodo" a causa del fenomeno carsico.

A distanza di vent'anni, poi, la diga di Capodacqua non è mai stata realizzata, sono state spese risorse pubbliche per diverse decine di miliardi di lire ed è stata avviata una inchiesta, che ha portato alcune condanne per corruzione inflitte dal Tribunale di Bari.

Negli anni '90, quando il Parco Nazionale non era ancora nato, insistevano nella zona del costone murgiano vincoli paesaggistici ed ambientali, ma ciò è valso a fermare solo la costruzione del quinto invaso, che sarebbe dovuto sorgere sotto Castel Garagnone; la battaglia legale è stata condotta dal Centro Studi Torre di Nebbia ed ha fatto valere il vincolo archeologico insistente in quella zona, nonostante i lavori fossero già iniziati, con le canalizzazioni giunte sin sotto la Rocca.

Dopo l'istituzione del Parco Nazionale tutta la zona del costone murgiano è stata inserita entro i confini dell'area protetta e, secondo il Piano del Parco attualmente in fase di discussione, rientra nella zona A, quella a maggior pregio naturalistico, nella quale non sarebbe consentito il taglio di un solo cespuglio. Ma ormai il danno è fatto, difficilmente potrà essere ripristinato o mitigato: il cemento resterà lì, testimonianza del malgoverno e della incapacità di noi cittadini di difendere il nostro territorio dalle speculazioni.

(Fonte: "Guida al Parco Nazionale dell'Alta Murgia" - Edizioni Torre di Nebbia)
 
Le foto aeree sono state tratte da Google Earth.



5 fotoLe dighe nel nulla
Invaso presso Jazzo FilieriCanalizzazioni nei pressi di Jazzo FilieriFoto aerea dei 4 invasiFoto aerea dell'invaso di Jazzo FilieriInvaso di Jazzo Filieri
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