Natura Murgiana
Il cardo dei lanaioli, un’erbaccia dalla storia millenaria
Attualmente è ritenuta un’infestante, un tempo se ne impiegavano i capolini spinosi nella lavorazione della lana
giovedì 28 luglio 2011
Il cardo dei lanaioli o scardaccione, il cui nome scientifico è Dipsacus fullonum L., è una pianta erbacea molto diffusa in tutto il mediterraneo e, per questo, adoperata dall'uomo, in passato, per le sue numerose qualità. Cresce abbondante e rigogliosa praticamente ovunque, lungo i fossi, a bordo strada, sulle macerie e negli incolti pietrosi ed argillosi e, raggiungendo un'altezza fino a due metri, è ben individuabile, anche per via delle robuste infiorescenze ovoidali, dette capolini; questi sono formati da tanti piccoli fiori violacei, che si aprono durante l'estate progressivamente dalla zona mediana verso l'alto, attirando un gran numero di insetti impollinatori. Le foglie, lanceolate, sono ampie alla base ed abbracciano il fusto, formando un mini-serbatoio, nel quale si raccoglie una piccola quantità di acqua piovana, sfruttata dalla pianta per il proprio fabbisogno idrico. Tutta la pianta è coperta di spine ed aculei resistenti; i semi, numerosissimi in autunno, sono appetiti da passeriformi quali cardellini e lucherini, che, cibandosene ed espellendo la parte indigeribile, fungono da inconsapevoli "agenti di diffusione" di questa specie.
E' una specie erbacea molto "robusta", che persiste lungamente dopo il disseccamento persino nei capolini spinosi, assumendo una colorazione bruno-dorata e prestandosi particolarmente per composizioni, ad effetto, di piante secche. Proprio l'impiego in campo ornamentale è forse l'unico a permanere ancora ai giorni nostri. Nei tempi passati, invece, se ne conoscevano ed apprezzavano interessanti proprietà medicinali- depurative e diuretiche- ed alimentari - venivano infatti consumate lesse le tenere foglie basali o le sole nervature, ed il cardo dei lanaioli era fondamentale per la lavorazione della lana. La fase della "cardatura", che ha preso il nome dalla pianta, consisteva, infatti, nella prima pettinatura a mano della lana tramite i capolini uncinati della pianta, per liberarla dalle impurità e districare le fibre; dunque il nome generico "cardo" si è arricchito dell' epiteto "dei lanaioli" per caratterizzarne l'uso rispetto agli altri cardi della vegetazione mediterranea.
La pratica della cardatura, attuata fin dall'età antica, la pratica ha portato alla selezione e coltivazione di questa pianta, con un picco nel XIX secolo, fino a che l'industrializzazione e la meccanizzazione del processo di lavorazione della lana ha portato alla sostituzione degli aculei vegetali con altri metallici. Attualmente, infatti, solamente alcune aziende specializzate nella lavorazione di tessuti pregiati continuano ad impiegare il cardo dei lanaioli, per produrre stoffe di pregio, come alcuni panni per tavoli da biliardo.
Nel locale vernacolo lo scardaccione è identificato dagli anziani pastori anche col nome di cècalup, perché assieme ad altri cardi ed arbusti spinosi veniva intrecciato, con sapienza, per costruire recinti momentanei per le greggi in movimento durante la transumanza, così da impedire ai lupi l'avvicinamento e l'attacco degli armenti.
E' una specie erbacea molto "robusta", che persiste lungamente dopo il disseccamento persino nei capolini spinosi, assumendo una colorazione bruno-dorata e prestandosi particolarmente per composizioni, ad effetto, di piante secche. Proprio l'impiego in campo ornamentale è forse l'unico a permanere ancora ai giorni nostri. Nei tempi passati, invece, se ne conoscevano ed apprezzavano interessanti proprietà medicinali- depurative e diuretiche- ed alimentari - venivano infatti consumate lesse le tenere foglie basali o le sole nervature, ed il cardo dei lanaioli era fondamentale per la lavorazione della lana. La fase della "cardatura", che ha preso il nome dalla pianta, consisteva, infatti, nella prima pettinatura a mano della lana tramite i capolini uncinati della pianta, per liberarla dalle impurità e districare le fibre; dunque il nome generico "cardo" si è arricchito dell' epiteto "dei lanaioli" per caratterizzarne l'uso rispetto agli altri cardi della vegetazione mediterranea.
La pratica della cardatura, attuata fin dall'età antica, la pratica ha portato alla selezione e coltivazione di questa pianta, con un picco nel XIX secolo, fino a che l'industrializzazione e la meccanizzazione del processo di lavorazione della lana ha portato alla sostituzione degli aculei vegetali con altri metallici. Attualmente, infatti, solamente alcune aziende specializzate nella lavorazione di tessuti pregiati continuano ad impiegare il cardo dei lanaioli, per produrre stoffe di pregio, come alcuni panni per tavoli da biliardo.
Nel locale vernacolo lo scardaccione è identificato dagli anziani pastori anche col nome di cècalup, perché assieme ad altri cardi ed arbusti spinosi veniva intrecciato, con sapienza, per costruire recinti momentanei per le greggi in movimento durante la transumanza, così da impedire ai lupi l'avvicinamento e l'attacco degli armenti.