Salotto Fidapa
Terminata con successo la rassegna cinematografica F.I.D.A.P.A.
Immagini che raccontano
giovedì 27 gennaio 2011
Si è conclusa ieri 26 gennaio 2010 la rassegna cinematografica dal titolo "La città delle donne" organizzata dalla F.I.D.A.P.A. sezione Altamura con presidente Rosa Vulpio e diretta dal dott. Luigi Abiusi, poeta, saggista, critico letterario e cinematografico altamurano.
Un indiscusso successo segnato dal tutto esaurito dei posti a sedere presso il cinema Grande che ha ospitato la rassegna. Ogni proiezione dei sei film in programma ("Meduse" di E. Keret e S. Geffen, "Lezioni di piano" di J. Campion, "Compagna di viaggio" di P. Del Monte, "Stella" di S. Verheyde, "Film rosso" di K. Kieslowski, "La vita segreta delle parole" di I. Coixet) è stata anticipata dalla attenta e analitica presentazione di L. Abiusi.
Leitmotiv dei film proposti è stato il linguaggio poetico e integrale del cinema. Poetico perché sfugge alla comune definizione di comunicazione immediata e impulsiva e che si ferma prepotentemente sull'eco delle immagini. Integrale perché respira dell'interazione tra immagine, lettera e musica. Si è voluto rappresentare, dunque, il cinema d'arte, d'autore in cui è il silenzio che paradossalmente parla, esprime l'interezza del messaggio di realtà.
E Abiusi chiarisce: "Esprimersi per immagini cinematiche significa andare oltre il racconto, verso la dimensione del sogno, verso zone metafisiche che appannano la realtà fatte di cose, di spettacolo senza significato, una realtà oramai percepita automaticamente e quindi non più percepita nella sua poeticità, nel suo intrinseco scintillio".
Un'idea di cinema che si ritrova nel pensiero di Victor Sklovsky (1893-1984) allorquando parla di "straniamento" nel suo saggio "Arte come Technique": "Lo scopo dell'arte è di trasmettere la sensazione di cose così come sono percepiti e non come sono conosciuti. La tecnica dell'arte è quello di rendere gli oggetti 'sconosciuti', di rendere le forme difficili, per aumentare la difficoltà e la durata della percezione in quanto il processo di percezione estetica è un fine in se stesso e deve essere prolungato. L'arte è un modo di vivere l'artificiosità di un oggetto, l'oggetto non è importante".
Quindi si tratta di uno spaccato estraniato, isolato, arricchito di un significato che passa attraverso il tempo dilatato e i silenzi delle figure. Ogni spettatore si è sentito proiettato in un'esperienza nella quale il sogno rivelato e rivelante ha predominato la scena.
Un indiscusso successo segnato dal tutto esaurito dei posti a sedere presso il cinema Grande che ha ospitato la rassegna. Ogni proiezione dei sei film in programma ("Meduse" di E. Keret e S. Geffen, "Lezioni di piano" di J. Campion, "Compagna di viaggio" di P. Del Monte, "Stella" di S. Verheyde, "Film rosso" di K. Kieslowski, "La vita segreta delle parole" di I. Coixet) è stata anticipata dalla attenta e analitica presentazione di L. Abiusi.
Leitmotiv dei film proposti è stato il linguaggio poetico e integrale del cinema. Poetico perché sfugge alla comune definizione di comunicazione immediata e impulsiva e che si ferma prepotentemente sull'eco delle immagini. Integrale perché respira dell'interazione tra immagine, lettera e musica. Si è voluto rappresentare, dunque, il cinema d'arte, d'autore in cui è il silenzio che paradossalmente parla, esprime l'interezza del messaggio di realtà.
E Abiusi chiarisce: "Esprimersi per immagini cinematiche significa andare oltre il racconto, verso la dimensione del sogno, verso zone metafisiche che appannano la realtà fatte di cose, di spettacolo senza significato, una realtà oramai percepita automaticamente e quindi non più percepita nella sua poeticità, nel suo intrinseco scintillio".
Un'idea di cinema che si ritrova nel pensiero di Victor Sklovsky (1893-1984) allorquando parla di "straniamento" nel suo saggio "Arte come Technique": "Lo scopo dell'arte è di trasmettere la sensazione di cose così come sono percepiti e non come sono conosciuti. La tecnica dell'arte è quello di rendere gli oggetti 'sconosciuti', di rendere le forme difficili, per aumentare la difficoltà e la durata della percezione in quanto il processo di percezione estetica è un fine in se stesso e deve essere prolungato. L'arte è un modo di vivere l'artificiosità di un oggetto, l'oggetto non è importante".
Quindi si tratta di uno spaccato estraniato, isolato, arricchito di un significato che passa attraverso il tempo dilatato e i silenzi delle figure. Ogni spettatore si è sentito proiettato in un'esperienza nella quale il sogno rivelato e rivelante ha predominato la scena.