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Cronaca

Un altamurano l'omicida del sacerdote veneto

Si tratta del 51enne Giovanni Converso Ardino. L'assassino ha confessato il delitto commesso per errore

Ha confessato tutto. Spontaneamente. Si tratta dell'altamurano Giovanni Converso Ardino, classe 1959. È stato lui ad uccidere don Francesco Cassol. Un delitto commesso per errore (per la precedente notizia, clicca qui).

Le serrate indagini condotte dai Carabinieri della Compagnia di Altamura e dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Bari, sotto la guida costante del sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Bari dott. Manfredi Dini Ciacci, hanno consentito, in poche ore, di restringere le varie ipotesi di lavoro, orientando le attività degli investigatori sulla possibilità che la morte del prelato potesse essere riconducibile ad un "cacciatore" presente nella zona.

Il ritrovamento di un bossolo calibro 30.06 a qualche decina di metri dal luogo ove è stato rinvenuto il cadavere del sacerdote, ha consentito di serrare ulteriormente le fila delle indagini. Al censimento di tutti i possessori di carabine dello stesso calibro presenti nel luogo è seguita l'escussione a verbale di numerosi cacciatori. Sentito anche il 51enne colpevole, un bracconiere e non un cacciatore. Secondo la legge 157 dell'11 febbraio 1992 sulla caccia, infatti, il cinghiale (Sus scrofa) rientra fra le specie cacciabili dall'1 ottobre al 31 dicembre o dall'1 novembre al 31 gennaio. La caccia, inoltre, sempre secondo la legge 157, è consentita da un'ora prima del sorgere del sole fino al tramonto. Ardino, tra l'altro, ha tentato la caccia in territorio protetto (Parco Nazionale dell'Alta Murgia), dove l'attività venatoria è vietata in qualsiasi periodo.

A quest'ultimo, come ad altri, è stato subito sequestrato il fucile - da lui legalmente detenuto - per procedere alla necessaria perizia balistica presso il Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche di Roma. In particolare, la versione fornita dal 51enne non ha pienamente convinto gli investigatori. Sul volto dell'uomo, infatti, figuravano varie escoriazioni e contusioni dovute ad una caduta avvenuta, secondo le parole dell'interrogato, qualche giorno prima in un'altra località. In conseguenza, non essendovi la certezza circa la sua colpevolezza, i militari, nella tarda serata del giorno 22, hanno deciso di rilasciare il bracconiere.

È stato lo stesso a decidere di ripresentarsi stamattina in caserma con il suo avvocato per rendere piena confessione, contestualmente ricevuta dal dott. Manfredi Dini Ciacci nel corso del formale interrogatorio.

Si è così avuta conferma che il bracconiere, recatosi verso mezzanotte in località "Pulo" con la propria autovettura per la caccia del cinghiale, giunto a qualche decina di metri dal terreno ove si trovavano Don Cassol e i partecipanti al ritiro denominato "Raid Goum", tratto in inganno dalle sagome a riposo nei sacchi a pelo, scambiate per cinghiali, ha deciso di esplodere un colpo all'indirizzo di quello che egli riteneva essere un branco. Pochi istanti dopo, avendo sentito il vociare dei componenti del gruppo e resosi conto del tragico errore, è fuggito con la sua auto.


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