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Si parte dall'acqua e si arriva a mettere in discussione un sistema
Presentazione di "Geopolitiche dell'acqua" di Margherita Ciervo. L'incontro ha avviato ufficialmente la campagna referendaria
Altamura - mercoledì 16 marzo 2011
11.40
Il 28 luglio l'assemblea dell'ONU ha inserito l'acqua tra i diritti umani. Indubbiamente è un risultato positivo, ma ha un risvolto inquietante: il fatto che ci sia stato bisogno di metterlo per iscritto vuol dire che non è più scontato, che qualcuno lo mette in dubbio. Si arriverà al punto di doverlo scrivere anche per l'aria o per la luce del sole? Non è evidente che l'acqua come l'aria e la luce sia un bene vitale? Questo è solo uno dei tanti spunti di riflessione offerti da Margherita Ciervo, referente del comitato pugliese Acqua Bene Comune, nel corso della presentazione del suo libro, Geopolitiche dell'acqua, che si è tenuta venerdì 11 marzo nella Sala Consiliare del Comune di Altamura. Ad organizzare l'evento - dando inizio alla campagna referendaria a favore dei due "Si" contro la privatizzazione dell'acqua - il comitato Acqua Bene Comune Altamura. L'autrice ha risposto in modo chiaro ed esauriente ai quesiti posti da Michele Loporcaro, che ha diretto l'incontro, confutando con nozioni basilari di economia alcuni luoghi comuni che circondano la questione della privatizzazione dell'acqua. Ha esordito affermando che l'acqua è la più abbondante tra le risorse scarse. In alcuni territori ce n'è di più, in altri di meno, ma generalmente sta diventando sempre più scarsa da un punto di vista sia qualitativo, nel senso che spesso è inquinata, sia quantitativo. Per esempio il lago d'Aral (Uzbekistan), che aveva un'estensione pari a circa due volte il Belgio, nell'arco di quarant'anni si è ridotto di circa otto decimi fino a ridursi in due parti più piccole. Fenomeni simili sono riconducibili al sistema produttivo ed economico dominante che è di tipo produttivista: la natura non è considerata bene in sé, ma come mera risorsa produttiva. Le acque dell'Aral sono state drenate per sostenere le coltivazioni di cotone dell'Ex Unione Sovietica.
Alla base dell'economia è il principio che un bene diventa economico, cioè può essere al centro di una compravendita, nella misura in cui è scarso e quindi si crea una forte domanda. Pensare di poter vendere l'aria, per esempio, è follia. Lasciando da parte le surreali implicazioni etiche, logiche e tecniche, è follia dal punto di vista economico, perché semplicemente è a disposizione di tutti, ma, a quanto pare, non è più così per l'acqua. «L'acqua è la punta dell'iceberg», ha affermato l'autrice, «è in atto un processo di appropriazione delle risorse naturali da parte di oligarchie economiche configurabili facilmente con le multinazionali, ma non solo. Non è vero che il mercato può essere una risposta al problema della scarsità e del risparmio. A questo proposito spesso sentiamo dire: se creiamo un mercato e immettiamo un prezzo considerevole all'acqua si riducono i consumi. Questo economicamente è un nonsenso. L'acqua appartiene in economia ad una categoria di beni chiamati "a domanda non elastica", il prezzo può essere 10 o 100, ma, poiché è un bene vitale, se io ho bisogno di una data quantità, comunque devo arrivare ad averla. Quello che cambia è il mio potere di acquisto: se il mio stipendio è 500, prima pagavo 10 per l'acqua, ora 100, invece di avere 490 ho 400 per le altre cose. Il prezzo non fa che pesare sulle fasce più deboli, non inibisce lo spreco, perché uno che se lo può permettere può anche sprecare e all'impresa va bene, più vede più incassa. Una gestione pubblica, quindi finalizza all'interesse generale e non al profitto, può decidere, come è la nostra proposta, che il quantitativo minimo stabilito dall'ONU, 50 l al giorno, sia pagato dalla collettività, e applicare tariffe penalizzanti per lo spreco». A difesa della privatizzazione dell'acqua si sente spesso dire anche che la concorrenza diminuirebbe i prezzi. L'autrice ha smentito anche questo luogo comune: nel caso dell'acqua non può esserci concorrenza perché è un "monopolio naturale", nel senso che ogni territorio deve attingere da una determinata fonte, «non si può aprire il rubinetto e decidere: prendo l'acqua del pozzo "x" piuttosto che dall'invaso "y". È un monopolio naturale, se il monopolista è pubblico il prezzo è nell'ottica dell'interesse generale, se è privato l'obiettivo non è l'interesse generale. La legge attribuisce all'impresa un obiettivo uno e unico, che è quello di fare l'utile, lo dice l'articolo 2247 del Codice Civile: l'obiettivo della società per azioni è quello di fare l'utile e dividerlo tra gli azionisti».
L'autrice ha parlato anche delle "guerre dell'acqua" che, prima del secondo dopoguerra, si configuravano come conflitti armati tra gli eserciti di due stati per l'appropriazione di un territorio con risorse idriche; dal secondo dopoguerra in poi, soprattutto dopo gli anni '60-'70, periodo in cui si è sviluppato il sistema produttivista, fino ai giorni nostri, si configurano come battaglie dei cittadini contro le istituzioni che privatizzano l'acqua. Il primo di questi nuovo conflitti è stato quello di Cochabamba, in Bolivia, nel 2000: «le forze dell'ordine che difendono il Governo e la multinazionale contro la popolazione disarmata». A Cochabamba era stato persino proibito agli agricoltori di prendere l'acqua dalle falde e di raccogliere quella piovana per le coltivazioni. A Grenoble, in Francia, è successo qualcosa di simile, ma si è trattato di una guerra giuridica e non di conflitti e proteste per le strade. «Prima della ribellione ci sono dei passaggi», ha affermato Margherita Ciervo, «la prima opposizione anche a Cochabamba era rispetto alle tariffe. É stata la miopia e l'arroganza del sistema governo-multinazionale a fare gradualmente aprire gli occhi, magari se i contadini avessero ottenuto un abbassamento dei prezzi e il permesso di prendere l'acqua dai pozzi non si sarebbe arrivati a tanto. Invece è iniziato un percorso, una presa di coscienza graduale. Non solo le tariffe sono state messe in discussione, ma tutto il sistema: perché l'acqua che è un bene comune deve essere gestita per profitto? Perché le risorse naturali della Bolivia devono essere nella mani delle multinazionali e non del popolo? Così è cominciata una serie di battaglie che hanno portato ad un processo costituente in cui è stato eletto per la prima volta un presidente indigeno e non neocoloniale ed è stata fatta una costituzione che mette al centro le risorsse naturali come beni comunitari sui quali non ci può essere appropriazione. Si parte dall'acqua e si arriva a mettere in discussione un sistema, l'acqua ha questa forza trascinante forse perché tocca tutti, è vitale».
L'Italia è la prima consumatrice in Europa di acqua in bottiglia. In proposito l'autrice ha affermato che l'acqua in bottiglia e i servizi idrici gestiti da privati sono due facce della stessa medaglia: la mercificazione dell'acqua. La prima è propedeutica alla seconda perché fa abituare al pensiero che l'acqua sia qualcosa che si può vendere e comprare, insomma una comune merce. L'acqua in bottiglia è nata come terapeutica ed è diventata di uso comune dagli anni '60 in poi. Fonti del demanio pubblico vengono date in concessione a privati per venti, quarant'anni o anche per sempre, «i privati estraggono l'acqua la imbottigliano, la pubblicizzano per farci credere che saremo snelle, belle e parleremo con gli uccellini se la beviamo, e la rivendono. L'acqua è prelevata a pochissimo, tipo 1000,00 Euro all'anno, o anche 400.000,00 è nulla rispetto agli incassi. Generalmente un'impresa spende molto per la materia prima, meno per imballaggi e distribuzione e pubblicità. Per l'acqua è il contrario, la prima spesa è la pubblicità, è il settore che spende di più in pubblicità dopo quello delle automobili e la telefonia; poi l'imballaggio e in ultimo l'acqua. Con un Euro e cinquanta possiamo avere un metro cubo di acqua dall'acquedotto, se ci troviamo in autostrada possiamo averne mezzo litro e un faldone se c'è un'offerta al supermercato. Ci vogliono soldi per convincere delle persone a spendere centinaia di volte di più. Tra l'altro l'acqua in bottiglia non è controllata giornalmente come quella di acquedotto, ma ogni tre o quattro anni e fa viaggi di 1000 km perché sulle Alpi si beve l'acqua della Sicilia e viceversa, senza contare che le bottiglie si trasformano in rifiuti e il dispendio energetico per produrre plastica e carburante».
L'incontro si è concluso con un accenno alla situazione italiana della gestione dell'acqua a livello legislativo. Nel 2007 sono state raccolte oltre 400.000 firme, cifra storica, per presentare una legge di iniziativa popolare. Il 10 luglio la legge è stata consegnata all'allora presidente della Camera, Bertinotti, ma non è stata mai calendarizzata. Il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali, che è un organo costituzionale con il compito di consigliare il Governo si è espresso contro la privatizzazione. Il Governo nel 2009 ha posto la fiducia per convertire in legge il decreto Ronchi, che si intitola "Attuazione degli obblighi comunitari e servizi pubblici locali". L'art. 15, "Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica", parla della gestione dell'acqua e, spiega l'autrice, dice sostanzialmente: «io privatizzo i servizi idrici e acqua perché è l'Unione Europea che lo obbliga. Non è così perché non esiste nessuna normativa europea che obbliga a privatizzare, per l'Unione Europea spetta allo stato o alle autonomie locali decidere per una gestione pubblica o privata. Ci sono due prove: la prima è che Spagna e Francia hanno ripubblicizzato e, a quanto mi risulta, fanno parte dell'Europa, la seconda è che la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili i due quesiti per il referendum. L'articolo uno della Costituzione afferma che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, ma se lo fa e viene ignorato o ostacolato - come nel caso di questo referendum, nessuna trasmissione ne ha parlato, benché storico per numero di firme e non promosso da partiti - allora di chi è la sovranità? Se si vanno a guardare gli indici di borsa delle società quotate nel settore idrico il giorno dopo della conversione del decreto Ronchi in legge, lì abbiamo una risposta su di chi è la sovranità».
Alla base dell'economia è il principio che un bene diventa economico, cioè può essere al centro di una compravendita, nella misura in cui è scarso e quindi si crea una forte domanda. Pensare di poter vendere l'aria, per esempio, è follia. Lasciando da parte le surreali implicazioni etiche, logiche e tecniche, è follia dal punto di vista economico, perché semplicemente è a disposizione di tutti, ma, a quanto pare, non è più così per l'acqua. «L'acqua è la punta dell'iceberg», ha affermato l'autrice, «è in atto un processo di appropriazione delle risorse naturali da parte di oligarchie economiche configurabili facilmente con le multinazionali, ma non solo. Non è vero che il mercato può essere una risposta al problema della scarsità e del risparmio. A questo proposito spesso sentiamo dire: se creiamo un mercato e immettiamo un prezzo considerevole all'acqua si riducono i consumi. Questo economicamente è un nonsenso. L'acqua appartiene in economia ad una categoria di beni chiamati "a domanda non elastica", il prezzo può essere 10 o 100, ma, poiché è un bene vitale, se io ho bisogno di una data quantità, comunque devo arrivare ad averla. Quello che cambia è il mio potere di acquisto: se il mio stipendio è 500, prima pagavo 10 per l'acqua, ora 100, invece di avere 490 ho 400 per le altre cose. Il prezzo non fa che pesare sulle fasce più deboli, non inibisce lo spreco, perché uno che se lo può permettere può anche sprecare e all'impresa va bene, più vede più incassa. Una gestione pubblica, quindi finalizza all'interesse generale e non al profitto, può decidere, come è la nostra proposta, che il quantitativo minimo stabilito dall'ONU, 50 l al giorno, sia pagato dalla collettività, e applicare tariffe penalizzanti per lo spreco». A difesa della privatizzazione dell'acqua si sente spesso dire anche che la concorrenza diminuirebbe i prezzi. L'autrice ha smentito anche questo luogo comune: nel caso dell'acqua non può esserci concorrenza perché è un "monopolio naturale", nel senso che ogni territorio deve attingere da una determinata fonte, «non si può aprire il rubinetto e decidere: prendo l'acqua del pozzo "x" piuttosto che dall'invaso "y". È un monopolio naturale, se il monopolista è pubblico il prezzo è nell'ottica dell'interesse generale, se è privato l'obiettivo non è l'interesse generale. La legge attribuisce all'impresa un obiettivo uno e unico, che è quello di fare l'utile, lo dice l'articolo 2247 del Codice Civile: l'obiettivo della società per azioni è quello di fare l'utile e dividerlo tra gli azionisti».
L'autrice ha parlato anche delle "guerre dell'acqua" che, prima del secondo dopoguerra, si configuravano come conflitti armati tra gli eserciti di due stati per l'appropriazione di un territorio con risorse idriche; dal secondo dopoguerra in poi, soprattutto dopo gli anni '60-'70, periodo in cui si è sviluppato il sistema produttivista, fino ai giorni nostri, si configurano come battaglie dei cittadini contro le istituzioni che privatizzano l'acqua. Il primo di questi nuovo conflitti è stato quello di Cochabamba, in Bolivia, nel 2000: «le forze dell'ordine che difendono il Governo e la multinazionale contro la popolazione disarmata». A Cochabamba era stato persino proibito agli agricoltori di prendere l'acqua dalle falde e di raccogliere quella piovana per le coltivazioni. A Grenoble, in Francia, è successo qualcosa di simile, ma si è trattato di una guerra giuridica e non di conflitti e proteste per le strade. «Prima della ribellione ci sono dei passaggi», ha affermato Margherita Ciervo, «la prima opposizione anche a Cochabamba era rispetto alle tariffe. É stata la miopia e l'arroganza del sistema governo-multinazionale a fare gradualmente aprire gli occhi, magari se i contadini avessero ottenuto un abbassamento dei prezzi e il permesso di prendere l'acqua dai pozzi non si sarebbe arrivati a tanto. Invece è iniziato un percorso, una presa di coscienza graduale. Non solo le tariffe sono state messe in discussione, ma tutto il sistema: perché l'acqua che è un bene comune deve essere gestita per profitto? Perché le risorse naturali della Bolivia devono essere nella mani delle multinazionali e non del popolo? Così è cominciata una serie di battaglie che hanno portato ad un processo costituente in cui è stato eletto per la prima volta un presidente indigeno e non neocoloniale ed è stata fatta una costituzione che mette al centro le risorsse naturali come beni comunitari sui quali non ci può essere appropriazione. Si parte dall'acqua e si arriva a mettere in discussione un sistema, l'acqua ha questa forza trascinante forse perché tocca tutti, è vitale».
L'Italia è la prima consumatrice in Europa di acqua in bottiglia. In proposito l'autrice ha affermato che l'acqua in bottiglia e i servizi idrici gestiti da privati sono due facce della stessa medaglia: la mercificazione dell'acqua. La prima è propedeutica alla seconda perché fa abituare al pensiero che l'acqua sia qualcosa che si può vendere e comprare, insomma una comune merce. L'acqua in bottiglia è nata come terapeutica ed è diventata di uso comune dagli anni '60 in poi. Fonti del demanio pubblico vengono date in concessione a privati per venti, quarant'anni o anche per sempre, «i privati estraggono l'acqua la imbottigliano, la pubblicizzano per farci credere che saremo snelle, belle e parleremo con gli uccellini se la beviamo, e la rivendono. L'acqua è prelevata a pochissimo, tipo 1000,00 Euro all'anno, o anche 400.000,00 è nulla rispetto agli incassi. Generalmente un'impresa spende molto per la materia prima, meno per imballaggi e distribuzione e pubblicità. Per l'acqua è il contrario, la prima spesa è la pubblicità, è il settore che spende di più in pubblicità dopo quello delle automobili e la telefonia; poi l'imballaggio e in ultimo l'acqua. Con un Euro e cinquanta possiamo avere un metro cubo di acqua dall'acquedotto, se ci troviamo in autostrada possiamo averne mezzo litro e un faldone se c'è un'offerta al supermercato. Ci vogliono soldi per convincere delle persone a spendere centinaia di volte di più. Tra l'altro l'acqua in bottiglia non è controllata giornalmente come quella di acquedotto, ma ogni tre o quattro anni e fa viaggi di 1000 km perché sulle Alpi si beve l'acqua della Sicilia e viceversa, senza contare che le bottiglie si trasformano in rifiuti e il dispendio energetico per produrre plastica e carburante».
L'incontro si è concluso con un accenno alla situazione italiana della gestione dell'acqua a livello legislativo. Nel 2007 sono state raccolte oltre 400.000 firme, cifra storica, per presentare una legge di iniziativa popolare. Il 10 luglio la legge è stata consegnata all'allora presidente della Camera, Bertinotti, ma non è stata mai calendarizzata. Il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali, che è un organo costituzionale con il compito di consigliare il Governo si è espresso contro la privatizzazione. Il Governo nel 2009 ha posto la fiducia per convertire in legge il decreto Ronchi, che si intitola "Attuazione degli obblighi comunitari e servizi pubblici locali". L'art. 15, "Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica", parla della gestione dell'acqua e, spiega l'autrice, dice sostanzialmente: «io privatizzo i servizi idrici e acqua perché è l'Unione Europea che lo obbliga. Non è così perché non esiste nessuna normativa europea che obbliga a privatizzare, per l'Unione Europea spetta allo stato o alle autonomie locali decidere per una gestione pubblica o privata. Ci sono due prove: la prima è che Spagna e Francia hanno ripubblicizzato e, a quanto mi risulta, fanno parte dell'Europa, la seconda è che la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili i due quesiti per il referendum. L'articolo uno della Costituzione afferma che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, ma se lo fa e viene ignorato o ostacolato - come nel caso di questo referendum, nessuna trasmissione ne ha parlato, benché storico per numero di firme e non promosso da partiti - allora di chi è la sovranità? Se si vanno a guardare gli indici di borsa delle società quotate nel settore idrico il giorno dopo della conversione del decreto Ronchi in legge, lì abbiamo una risposta su di chi è la sovranità».