Pane tricolore
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Pane, prodotto "simbolo" dell'Unità d'Italia

Lo afferma la Cia in un'indagine presentata a Torino. Immancabile la citazione del pane di Altamura

Il pane è il prodotto "simbolo" dell'Unità d'Italia. Secondo un'indagine realizzata dalla Cia, il pane racconta meglio di qualsiasi altro alimento i cambiamenti socio-economici che hanno attraversato la nostra nazione. Nel 1861 se ne mangiava 1,1 chilogrammo pro capite al giorno, oggi il consumo è sceso a 120 grammi. Ma la frequenza d'acquisto, secondo la Confederazione Italiana Agricoltori, resta altissima. Quattro italiani su cinque lo comprano quotidianamente. Torna, inoltre, la voglia di pane artigianale, con il 57% delle preferenze.

Una storia a tappe, dalla "rivolta del pane" nel 1898 agli "anni del pane nero" durante la seconda Guerra mondiale, dal "pane speciale" che, in base ad una legge del 1967, poteva essere fatto solo con pochi e determinati ingredienti, al pane "liberalizzato" con il Decreto del Presidente della Repubblica 502/1998, che eliminava qualsiasi restrizione sul processo di preparazione. La Cia ha presentato l'indagine a Torino in occasione della 6ª Festa nazionale dell'Agricoltura.

Ogni regione ha il suo pane. Basti pensare al "Cafone" in Campania, alla "Puccia" in Puglia, alla "Michetta" in Lombardia, alla "Ciriola" nel Lazio e alla "Crescia" nelle Marche. E poi c'è la "Carta musica" in Sardegna, la "Focaccia" in Liguria, la "Piadina" in Emilia Romagna, la "Vastedda" in Sicilia, i "Grissini" in Piemonte e la "Pitta" in Calabria. Ma, nonostante queste differenze locali, è il pane a legare tutti gli italiani a tavola.

Alla fine dell'Ottocento, sempre secondo la Cia, il pane rappresentava oltre l'80% dell'alimentazione tipica degli italiani. Mangiare "pane e acqua" non era solo un modo di dire, ma la metafora per raccontare una dieta composta da pane accompagnato a cipolle, formaggio, pomodori, fagioli o ceci. La dicitura "anni del pane nero" risale al secondo Conflitto mondiale e rimanda alla povertà degli italiani in guerra e all'eroismo delle donne, che combattevano contro la fame impastando farina non raffinata e usando ingredienti meno pregiati e a più basso costo del frumento, come crusca, segale, farina di castagne.
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Il "grande salto" avvenne negli anni Sessanta, che segnano la prima inversione di tendenza nel consumo di pane. Nel 1961 si mangiava il doppio rispetto al 1951, il quadruplo rispetto ad inizio secolo. Il pane in quel periodo costava anche di più. L'economia del Paese crebbe e si passò bruscamente dalle 45 lire al kg del 1945 alle 150 lire al kg del 1960 e alle 450 lire del 1975.

Negli ultimi trent'anni il trend discendente non si è più fermato, complice il mutamento degli stili di vita e le prescrizioni dei nuovi regimi alimentari. Il consumo di pane si è ridotto, anche se resta un must sulle tavole degli italiani. Attualmente la spesa media mensile per il pane in Italia è di 34,5 euro a famiglia, ma con lievi differenze territoriali.

Negli ultimi anni il consumo di "pane fresco" è tornato in ripresa. Gli italiani che oggi dichiarano di comprare pane artigianale sono pari al 57% della popolazione. Un atteggiamento che premia le oltre 300 varietà di pane presenti in tutt'Italia e che emerge anche dai dati più turistici. Sono cinque le certificazioni europee date alle varietà di pane italiano. Fra queste spicca il pane di Altamura Dop. Con registrazione Ue del 18 luglio 2003, è stata la prima Denominazione di Origine Protetta in Europa nella categoria dei prodotti da forno. La forma a "cappello di prete" era impiegata in passato durante la transumanza, dal momento che la tanta mollica tratteneva l'umidità e consentiva al pane di restare morbido per giorni. Tra le curiosità, scrive la Cia nella sue indagine, c'è la "cottura" del bollino, che viene applicato sulla forma prima che sia immessa in forno.

Seguono la pagnotta del Dittaino Dop, la coppia ferrarese Igp, il pane casereccio di Genzano Igp ed il pane di Matera Igp.

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