Pietro Pepe
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La città

"In questo tempo solo la conoscenza crea sviluppo"

Una riflessione del prof. Pietro Pepe sulla cultura. "Non più bisogni ma saperi, ricerca ed innovazione, comunicazione"

In concomitanza della "XVI settimana della Cultura", in programma a metà aprile in tutta Italia, il prof. Pietro Pepe, già presidente del Consiglio Regione Puglia, invia una riflessione sul ruolo che la cultura può esercitare sull'economia del nostro Paese.

"Non si può rispondere alla crisi economica e politica in cui versa l'Italia – si legge nel documento - solo con la protesta e la indignazione occorre invece capire le cause e suggerire i rimedi attraverso una seria analisi. Prenderò le mosse dal problema di fondo di una classe dirigente inconsapevole del tempo in cui vive perché fortemente ancorata al passato. Resiste al nuovo e alla modernizzazione ignorando che la fase post-industriale è iniziata già da un po' di tempo. La questione può e deve essere risolta da un elite più giovane cioè da quell'insieme di persone più colte, più autorevoli e più capaci che vivono in sintonia con i tempi e soprattutto avvertono l'importanza del ruolo della Cultura".

"Purtroppo, - prosegue Pepe - registro un ritardo di mentalità accumulata dalla politica e dall'economia, anche se finalmente è stata colta la gravità del momento storico e della necessità di mettere in campo iniziative utili per lo sviluppo e per la crescita. Anche se segnalo con rammarico che non si accenna mai in modo significativo e determinante alla cultura che continua purtroppo ad essere ritenuta una cornice, una decorazione. Proviamo a capire come veniva intesa ieri e come la dobbiamo valutare oggi. Nell'epoca industriale la cultura era al servizio esclusivo dei ceti alti, che per altro già la praticavano grazie alla frequentazione di ottime scuole e alla tradizione di famiglia: era la società di classe . Ieri contavano in modo prevalente per la borghesia la proprietà del CAPITALE e dei mezzi di produzione mentre ai lavoratori venivano assegnati lavori subalterni e ripetitivi. Oggi, invece hanno acquistato valore e contano soprattutto i beni immateriali della conoscenza, della comunicazione e della relazione che sono diventati patrimonio di tutti e non più limitati solo alle classi superiori. Il capitale umano ha assunto una centralità ed una importanza tale perché tutti possono produrre creatività ed intrapresa la cultura è cosi diventata bene comune. In questo contesto il fare si intreccia con il sapere ed il comunicare; Il bello della conoscenza e della relazione è di queste espressioni non si possiedono ed appartengono a tutti in quanto si condividono. Siamo passati, quindi, dalla lotta tra le classi alla possibilità di una solidale condivisione. Sulla scena sono così balzati i lavoratori della conoscenza, dell'estetica, dell'intrattenimento che producono beni rivolti alla promozione e alla gratificazione delle persone. La qualità torna ad essere un valore generale. Non più bisogni ma saperi, ricerca ed innovazione, comunicazione, relazione, gusto, stile di vita, desiderio di identità. Per fare qualche esempio abbiamo bisogno: di più moda che di abbigliamento; di più progettazione e design che di arredamento; di più gastronomia che di alimentazione; di più stile di vita che di merci. In questo contesto, l'ambiente, il paesaggio, la storia, l'arte, i libri, i documenti e la produzione culturale rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo della personalità e della società. Tutti questi fattori rendono la vita di relazione più umana e più feconda che certamente non si realizza desiderando il denaro, il potere o il sesso".

Siamo preparati a questa realtà post-industriale? È la domanda che pone il Presidente. "A mio avviso, - continua - l'Italia non è ancora pronta ed è una delle ragioni di tanta difficoltà e di poco prestigio. La conoscenza è figlia del piacere e non del lavoro. Quanti italiani sanno capire oltre che sapere leggere un testo in modo utile per la vita: purtroppo la percentuale è bassa anche a causa della nostra debole preparazione scolastica e universitaria. Nelle scuole si spiega poco e male cosa sia l'arte, cosa è un paesaggio, una città, un sito archeologico, un centro storico, un archivio. Altro che decreto per la crescita serve molto di più un cambiamento di usi e costumi, di idee che ci portino all'altezza del mondo contemporaneo in cui i Beni Culturali svolgono un ruolo fondamentale capace di sottrarsi alla concorrenza globale e che offre possibilità di sviluppo e di lavoro ai giovani in larghissima misura dotati di diplomi e di lauree".

"E' un ritorno al passato cioè al preindustriale; - conclude - infatti le nostre città antiche, i nostri borghi medievali e rinascimentali sono sempre stati laboratori di risorse materiali e di creatività umana. Il 90% del Patrimonio Unesco è italiano ed è opportuno conoscerlo per valorizzarlo e utilizzarlo in laboratori creativi come avveniva nel Rinascimento. Spero che i nostri giovani sappiano rispondere adeguatamente a questo grido di allarme, a questa pesante crisi "salvando la cultura" nella consapevolezza che il nuovo mondo deve avere il sapore degli Avi".
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