Eventi e cultura
Il Patch Adams barese ad Altamura
Intervista a Francesco Di Gennaro, “Infermiere di professione, comico per vocazione”. La terapia del sorriso funziona?
Altamura - lunedì 10 ottobre 2011
«Ridere non è solo contagioso, ma è anche la migliore medicina». Parola di Patch Adams, protagonista dell'omonimo film di Tom Shadyac, liberamente tratto dall'autobiografia di Hunter "Patch" Adams. Un medico statunitense che, a partire dagli anni '70, organizza gruppi di volontari provenienti da tutto il mondo per portare il sorriso negli ospedali. Si dice che sia stato proprio il film a diffondere questa pratica in Italia. C'è ancora molta diffidenza nei confronti della sorrisoterapia, soprattutto da parte dei medici. Lo scorso 7 ottobre, Francesco Di Gennaro, infermiere barese di 55 anni, ha presentato nella Sala consiliare del Palazzo di Città il suo libro "Infermiere di professione, comico per vocazione", edito da Albatros-Il Filo. Segue l'intervista all'autore.
Chi è Francesco Di Gennaro?
Francesco Di Gennaro è un infermiere che da 29 anni pratica la terapia del sorriso o comicoterapia. Sin dagli anni '80, girando per i reparti degli ospedali, continuavo a notare tristezza, tensione, nervosismo, a volte solitudine. Ho tentato di cambiare questo stato di cose con una risata. Ho visto che funzionava e non mi sono più fermato.
Dove lavora?
Lavoro al Policlinico di Bari. Giro per i reparti dando gioia ai bambini, agli adulti, agli anziani, ai malati cronici. Il libro "Infermiere di professione, comico per vocazione" parla della mia storia. Il messaggio che voglio lanciare anche ai miei colleghi è quello di far sorridere tutti, non solo i bambini. Viviamo in una società "sanitaria", piena di ospedali in cui le attenzioni dei volontari e delle associazioni sono rivolte tutte ai bambini. Fanno bene, ma dagli altri non va nessuno. Al Policlinico non c'è solo la pediatria. C'è anche l'oncologia, l'ematologia, l'ortopedia, sette chirurgie. Io non ho mai classificato i pazienti di serie A e quelli di serie B. L'appello che lancio è… andiamo da tutti, non solo dai bambini.
I bambini forse riescono a sorridere più facilmente. In ospedale un adulto riuscirebbe a sorridere quanto un bambino?
È chiaro che devi approcciarti in maniera diversa. Sono sicuro che se un clown andasse in un reparto ospedaliero gonfiando un palloncino o mettendosi il naso rosso davanti ad una nonna o ad un adulto 50enne, riuscirebbe a strappare un sorriso. Io lancio un messaggio ai miei colleghi infermieri. Approcciamoci ai pazienti con una battuta, una scenetta. È bello mettersi al centro di una stanza, perdere anche cinque minuti del proprio tempo e raccontare una barzelletta. Può essere anche scurrile, ma in quel momento fa bene.
I suoi colleghi infermieri mettono in pratica la terapia del sorriso?
Adesso stiamo cercando di superare queste "barriere architettoniche" della titubanza, del timore. Essendo dipendenti pubblici, siamo anche subordinati ai medici, ai primari. Non tutti la vedono di buon occhio. Ma sono sicuro che, con un infermiere comico in ogni reparto, riusciremmo a portare davvero il sorriso per curare l'umore e non solo la malattia del paziente.
Lei ha parlato di medici… come vedono loro la terapia del sorriso?
Noi viviamo in una sanità malata. La vera malattia della sanità è la sanità stessa. Viviamo in una sanità che prevarica, che utilizza molte volte il paziente anche per fini personali. Anche noi infermieri spesso prevarichiamo. Il primario, al momento delle dimissioni del paziente, quando vede che il parente del paziente ti abbraccia e ti dice grazie, comincia ad emozionarsi un po' e capisce che la terapia del sorriso è importante. Curiamo l'umore perché quel paziente potrei essere io, quei parenti potrebbero essere i nostri parenti. Se fossimo noi i ricoverati, quale sanità vorremmo trovare? Ecco, è quella che dobbiamo dare.
I pazienti come la vedono?
Mi vedono bene
Tutti?
All'inizio, quando mi avvicino per fare un prelievo, mi dicono di chiamare l'infermiere. Poi devo spiegare che l'infermiere sono io. Se riesci a creare un'ottima sinergia fra professionalità e sorriso, la combinazione è perfetta. Anche perché i pazienti nei primi giorni sono sempre un po' ansiosi, nervosi, hanno paura, non stanno a casa, devono utilizzare gli stessi bagni, dormire con altre persone. Spero davvero che la sanità un giorno accolga le persone in maniera più civile e non come adesso. Le persone ammassate al pronto soccorso… La più grande soddisfazione è riuscire a far sorridere un paziente. Anche i medici ed i primari capiranno man mano che una sanità bella deve essere, prima di tutto, una sanità civile, deve avere molto rispetto. Non è giusto che un paziente perda la propria dignità in una settimana, dieci giorni di ricovero. La dignità deve rimanere intatta e "vergine".
Come e quando è nato il libro?
Da quasi 30 anni pratico la terapia del sorriso, ma non l'ho mai detto a nessuno perché l'ho sempre ritenuto un fatto privato, tra me, i pazienti e i parenti. Poi ho visto che tutti andavano in televisione, scrivevano libri ed ho pensato che il modo migliore per lasciare una traccia era di interpellare i media. Ho cominciato a parlare con i giornalisti e a contattare redazioni di quotidiani per raccontare ciò che faccio. A loro interessava. Questo risale al 2007. Fino ad allora non ne avevo mai parlato con nessuno. Poi l'anno scorso, grazie alla casa editrice Albatros-Il Filo, in un'ora ho buttato giù quello che mi veniva in mente ed ecco il libro. Sessantasei pagine che lanciano un grande messaggio, ovvero l'amore per chi soffre ed il sorriso come medicina.
Il sorriso si impara?
Il sorriso si impara, ma soprattutto si insegna. Io l'ho imparato perché ho avuto la fortuna di nascere ironico. Per cui sin dagli anni '80 ho cominciato a fare battute mentre lavoravo. Tutti gradivano. Infermieri, medici, operatori sanitari, quando concludono il loro turno di lavoro, si divertono, sono spontanei. Perché non usare questa spontaneità anche sul posto di lavoro, sempre con professionalità? Entro 157 anni forse riusciremo a farlo.
Di che cosa parla il libro?
Della mia esperienza. I sorrisi sono proiettili dell'amore sparati dritti al cuore del paziente. È come se io sparassi, al posto di proiettili di piombo, le mie battute, le mie barzellette. Dalla sanità tutti prima o poi passeremo. E allora perché non cominciare a migliorarla? Spero che la comicoterapia entri nelle scuole di infermieristica, di radiologia…
Lei ha frequentato corsi di sorrisoterapia?
No, io ho frequentato corso Vittorio Emanuele e corso Cavour a Bari. Io ho fatto corsi da infermiere, da caposala, solo questi. Sono un autodidatta del sorriso.
Come definisce la sanità oggi?
La sanità oggi ha un pochino di "influenza". Ma se riuscissimo a prescrivere la giusta aspirina ed il giusto vaccino, potremmo eliminare questo virus e far sì che tutti guardino il paziente non come un avversario da combattere, ma come un parente da amare.
Chi è Francesco Di Gennaro?
Francesco Di Gennaro è un infermiere che da 29 anni pratica la terapia del sorriso o comicoterapia. Sin dagli anni '80, girando per i reparti degli ospedali, continuavo a notare tristezza, tensione, nervosismo, a volte solitudine. Ho tentato di cambiare questo stato di cose con una risata. Ho visto che funzionava e non mi sono più fermato.
Dove lavora?
Lavoro al Policlinico di Bari. Giro per i reparti dando gioia ai bambini, agli adulti, agli anziani, ai malati cronici. Il libro "Infermiere di professione, comico per vocazione" parla della mia storia. Il messaggio che voglio lanciare anche ai miei colleghi è quello di far sorridere tutti, non solo i bambini. Viviamo in una società "sanitaria", piena di ospedali in cui le attenzioni dei volontari e delle associazioni sono rivolte tutte ai bambini. Fanno bene, ma dagli altri non va nessuno. Al Policlinico non c'è solo la pediatria. C'è anche l'oncologia, l'ematologia, l'ortopedia, sette chirurgie. Io non ho mai classificato i pazienti di serie A e quelli di serie B. L'appello che lancio è… andiamo da tutti, non solo dai bambini.
I bambini forse riescono a sorridere più facilmente. In ospedale un adulto riuscirebbe a sorridere quanto un bambino?
È chiaro che devi approcciarti in maniera diversa. Sono sicuro che se un clown andasse in un reparto ospedaliero gonfiando un palloncino o mettendosi il naso rosso davanti ad una nonna o ad un adulto 50enne, riuscirebbe a strappare un sorriso. Io lancio un messaggio ai miei colleghi infermieri. Approcciamoci ai pazienti con una battuta, una scenetta. È bello mettersi al centro di una stanza, perdere anche cinque minuti del proprio tempo e raccontare una barzelletta. Può essere anche scurrile, ma in quel momento fa bene.
I suoi colleghi infermieri mettono in pratica la terapia del sorriso?
Adesso stiamo cercando di superare queste "barriere architettoniche" della titubanza, del timore. Essendo dipendenti pubblici, siamo anche subordinati ai medici, ai primari. Non tutti la vedono di buon occhio. Ma sono sicuro che, con un infermiere comico in ogni reparto, riusciremmo a portare davvero il sorriso per curare l'umore e non solo la malattia del paziente.
Lei ha parlato di medici… come vedono loro la terapia del sorriso?
Noi viviamo in una sanità malata. La vera malattia della sanità è la sanità stessa. Viviamo in una sanità che prevarica, che utilizza molte volte il paziente anche per fini personali. Anche noi infermieri spesso prevarichiamo. Il primario, al momento delle dimissioni del paziente, quando vede che il parente del paziente ti abbraccia e ti dice grazie, comincia ad emozionarsi un po' e capisce che la terapia del sorriso è importante. Curiamo l'umore perché quel paziente potrei essere io, quei parenti potrebbero essere i nostri parenti. Se fossimo noi i ricoverati, quale sanità vorremmo trovare? Ecco, è quella che dobbiamo dare.
I pazienti come la vedono?
Mi vedono bene
Tutti?
All'inizio, quando mi avvicino per fare un prelievo, mi dicono di chiamare l'infermiere. Poi devo spiegare che l'infermiere sono io. Se riesci a creare un'ottima sinergia fra professionalità e sorriso, la combinazione è perfetta. Anche perché i pazienti nei primi giorni sono sempre un po' ansiosi, nervosi, hanno paura, non stanno a casa, devono utilizzare gli stessi bagni, dormire con altre persone. Spero davvero che la sanità un giorno accolga le persone in maniera più civile e non come adesso. Le persone ammassate al pronto soccorso… La più grande soddisfazione è riuscire a far sorridere un paziente. Anche i medici ed i primari capiranno man mano che una sanità bella deve essere, prima di tutto, una sanità civile, deve avere molto rispetto. Non è giusto che un paziente perda la propria dignità in una settimana, dieci giorni di ricovero. La dignità deve rimanere intatta e "vergine".
Come e quando è nato il libro?
Da quasi 30 anni pratico la terapia del sorriso, ma non l'ho mai detto a nessuno perché l'ho sempre ritenuto un fatto privato, tra me, i pazienti e i parenti. Poi ho visto che tutti andavano in televisione, scrivevano libri ed ho pensato che il modo migliore per lasciare una traccia era di interpellare i media. Ho cominciato a parlare con i giornalisti e a contattare redazioni di quotidiani per raccontare ciò che faccio. A loro interessava. Questo risale al 2007. Fino ad allora non ne avevo mai parlato con nessuno. Poi l'anno scorso, grazie alla casa editrice Albatros-Il Filo, in un'ora ho buttato giù quello che mi veniva in mente ed ecco il libro. Sessantasei pagine che lanciano un grande messaggio, ovvero l'amore per chi soffre ed il sorriso come medicina.
Il sorriso si impara?
Il sorriso si impara, ma soprattutto si insegna. Io l'ho imparato perché ho avuto la fortuna di nascere ironico. Per cui sin dagli anni '80 ho cominciato a fare battute mentre lavoravo. Tutti gradivano. Infermieri, medici, operatori sanitari, quando concludono il loro turno di lavoro, si divertono, sono spontanei. Perché non usare questa spontaneità anche sul posto di lavoro, sempre con professionalità? Entro 157 anni forse riusciremo a farlo.
Di che cosa parla il libro?
Della mia esperienza. I sorrisi sono proiettili dell'amore sparati dritti al cuore del paziente. È come se io sparassi, al posto di proiettili di piombo, le mie battute, le mie barzellette. Dalla sanità tutti prima o poi passeremo. E allora perché non cominciare a migliorarla? Spero che la comicoterapia entri nelle scuole di infermieristica, di radiologia…
Lei ha frequentato corsi di sorrisoterapia?
No, io ho frequentato corso Vittorio Emanuele e corso Cavour a Bari. Io ho fatto corsi da infermiere, da caposala, solo questi. Sono un autodidatta del sorriso.
Come definisce la sanità oggi?
La sanità oggi ha un pochino di "influenza". Ma se riuscissimo a prescrivere la giusta aspirina ed il giusto vaccino, potremmo eliminare questo virus e far sì che tutti guardino il paziente non come un avversario da combattere, ma come un parente da amare.