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La città

Ferragosto in carcere

Visita al penitenziario di Altamura. Dinamiche del microcosmo carcerario

Aderendo all'iniziativa di sensibilizzazione sulle condizioni delle carceri italiane "Ferragosto in carcere", promossa dai Radicali e sostenuta da rappresentanti di ogni schieramento - che ha visto per tre giorni, dal 13 al 15 agosto, 250 tra europarlamentari, parlamentari e consiglieri regionali visitare i 216 istituti penitenziari della Penisola - venerdì 13 agosto l'on. Pierfelice Zazzera, parlamentare e coordinatore regionale de L'Italia dei Valori, insieme a Biagio Elefante, iscritto alla sezione di Turi de L'Italia dei Valori, Giacinto Forte, coordinatore provinciale de L'Italia dei Valori, Pietro Ciccimarra, consigliere comunale di Altamura de Il Popolo della Libertà, si è recato in visita all'Istituto Penitenziario di Altamura.

Il quadro che è emerso è quello di una struttura tutto sommato ben funzionante rispetto ad altre - a detta degli stessi detenuti - pur nei limiti delle problematiche logistiche ed etiche che assillano le carceri italiane e di tutto il mondo: sovraffollamento, mancanza di fondi, difficoltà nell'attuazione di iniziative volte a reintegrare i detenuti in un contesto sociale e lavorativo, discriminazione razziale, una sorta di sistema latente di giustizia interna tra detenuti.
La struttura, sorta nel 1980, è predisposta per 50 utenti, ma ne ospita circa 90 - di cui 18 extracomunitari - quasi tutti reclusi a seguito di condanne per reati di violenza sessuale. Le celle, della grandezza di 10 metri quadri, fornite di bagno e fornellino a gas, dovrebbero ospitare solo una persona, ma in genere ne ospitano 2. I detenuti hanno a disposizione due ore d'aria al mattino, e altre due nel pomeriggio solo d'estate, da trascorrere in una sala interna se c'è cattivo tempo. Un giovane detenuto napoletano, che afferma di aver imparato a cucinare da sua madre, è il cuoco. Le pietanze sono apparse ai visitatori genuine ed appetitose.

La dott.ssa Caterina Acquafredda, direttrice della struttura, conosce alla perfezione gli utenti e gli agenti. Convinta che il disagio del recluso - e di riflesso di chi vi è addetto - possa essere superato solo col suo inserimento in attività che realizzino, per quanto possibile, i normali comportamenti della vita da libero, primo fra tutti quello lavorativo, fa in modo di aderire a tutti i progetti di socializzazione offerti dalla legislazione e dalle istituzioni, soprattutto se offrono possibilità di un avvio al lavoro. Tuttavia il sovraffollamento e la mancanza di finanziamenti per i progetti annualmente presentati, lasciano limitate possibilità di inserimento. In presenza di remore dall'esterno al reclutamento del detenuto, mancano piani pubblicistici con aiuto ai datori di lavoro o pubbliche iniziative di effettiva valenza produttiva grazie ai quali i detenuti possano utilizzare al meglio il periodo di detenzione, senza nulla perdere della loro socialità precedente, ma svolgendola ovviamente entro un canale che eviti situazioni e occasioni che hanno prodotto il reato.

Il personale penitenziario è composto da circa 70 agenti, ma tra turni, missioni ed assenze, difficilmente in struttura ce ne sono più di 15. Alcuni, stimolati dalla direzione, hanno fatto corsi infermieristici di primo intervento, essendo l'infermeria munita di medico solo 5-6 ore al giorno e dovendo per il resto del tempo rivolgersi al 118 per la valutazione degli eventuali ricoveri con necessaria custodia. Non notano, a parere di Biagio Elefante, «tracce di tensioni fra il personale, né fra personale e detenuti, né fra tutti e direttrice».

Grande dispendio di risorse umane e finanziarie è legato alle traduzioni di detenuti in occasione delle udienze, da accompagnare a volte anche al nord Italia in aereo; oppure di detenuti agli arresti domiciliari residenti anche lontano da Altamura, l'istituto ha infatti una vasta zona territoriale di competenza. La direttrice ha fatto notare quanto l'accompagnamento sia inutile in quest'ultimo caso trattandosi di persone che, volendo, potrebbero allontanarsi a piacimento senza aspettare l'occasione dell'udienza.

Gli agenti, a prescindere dal loro pensiero sui detenuti, soprattutto per quanto riguarda quelli accusati di violenza sessuale - che li ritengano individui aberranti o vittime di calunnie spesso legate a liti per i figli o per il denaro - «sembrano», riferisce Biagio Elefante «in base ai loro comportamenti e affermazioni, aver introiettato l'atteggiamento della direttrice di pari considerazione e trattamento per tutti gli utenti reclusi».




I visitatori hanno avuto la possibilità di parlare con alcuni reclusi. Tutti vorrebbero poter fare un lavoro di qualunque tipo: stare in cucina, fare le pulizie o riparazioni. La direttrice ha spiegato che tali attività sono ripartite a rotazione, ma, non toccano mai agli extracomunitari, a detta di uno di loro, «il che, se vero», commenta Biagio Elefante «potrebbe essere legato al rifiuto da parte degli altri di servizi effettuati da loro».
Quelli condannati per violenze sessuali hanno lamentato una particolare criminalizzazione nei loro confronti. Questi detenuti non possono stare insieme agli altri, perché sarebbero oggetto di violenza da parte loro. È un fenomeno tristemente noto che in carcere vi sia una specie di codice latente di giustizia tra i detenuti, che hanno una loro scala morale dei delitti. Al gradino più basso le violenze sessuali, soprattutto se ai danni di minori.

Alcuni detenuti hanno raccontato la loro storia, cosa li ha portati lì nel penitenziario di Altamura. Un ragazzo di 23 anni è fuggito dal Ruanda quando ne aveva 15 dopo l'uccisione di suo padre nel corso di una guerra fra etnie. Imbarcatosi clandestinamente a Città del Capo è giunto a Taranto, poi è andato in Spagna, in Inghilterra, quindi a Roma. Un rifugiato politico a tutti gli effetti, ma, ha vissuto in clandestinità in assenza di un'adeguata assistenza da parte delle istituzioni. È diventato tossicodipendente, è stato condannato per violenza sessuale dopo aver violentato una ragazza mentre era ubriaco e quando è stato condannato non si è avvalso della facoltà di ricorrere in appello, probabilmente nessuno lo aveva messo al corrente di tale possibilità. Ora è del tutto disintossicato.

Un trentenne pakistano per 7 anni ha lavorato regolarmente a Milano, poi ha commesso una violenza sessuale ed è finito in carcere. Dopo 10 mesi è stato trasferito ad Altamura per mancanza di posto nelle sezioni speciali per violentatori sessuali. Ora che ha quasi del tutto scontato la pena vorrebbe tornare a Milano, anche in una cella con 4 detenuti, ma vicino ad alcuni parenti. Il pakistano ha fatto anche da interprete per il suo compagno di cella, un sessantacinquenne islamico in tunica, che ha detto semplicemente che nella sua cultura certi fatti non hanno rilevanza penale.

Un quarantenne di Grosso (BR) ha affermato che spesso le donne, accondiscendenti con i potenti, se la prendono con i poveracci, facendo contro di loro quello che con altri non hanno potuto o avuto il coraggio di fare.

Un trentenne milanese, condannato a 5 anni per violenza e rapina, ha raccontato che voleva rubare la borsetta ad una prostituta dopo la prestazione, non ci è riuscito. La donna gli ha inoltre restituito il pagamento, trasformando così "formalmente" la loro interazione da prestazione in violenza. Ora vorrebbe tornare al nord, vicino a moglie e figli.

Un quarantenne, condannato in via definitiva, all'ultimo periodo di pena, vorrebbe i domiciliari, ma non può ottenere tale agevolazione perché non ha fatto la revisione critica del suo passato, ammettendo la colpa. A detta della direttrice e di molti agenti, quello del rifiuto della revisione critica del passato da parte dei detenuti è un fenomeno che accade spesso, probabilmente a causa di un'insufficiente supporto psicologico. La A.S.L. fornisce meno di un'ora al mese di colloquio con uno psicoterapeuta per detenuto.

Un cinquantenne operaio agricolo specializzato, condannato a 10 anni perché recidivo e per percosse ai danni di sua moglie, ha raccontato di aver accolto in casa una rumena consenziente. La donna avrebbe denunciato la violenza per ripicca nei confronti dell'uomo che le avrebbe rifiutato dei soldi, indotta dai medici dopo essere giunta in ospedale in seguito a dei malori.

Queste sono le storie, difficili da comprendere senza giudicare, difficile parlarne senza cadere in luoghi comuni, contraddittorie e grottesche come la vita.

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