Uscire dall'omertà

Sproniamo alla denuncia. La violenza intrafamiliare può essere combattuta

martedì 22 febbraio 2011 13.00
A cura di Angela Colonna
Un ventottenne altamurano in manette per aver picchiato i genitori.

Sarebbe una reductio ad absurdum sorvolare sulla notizia pensando al giovane come ad un ragazzo pregiudicato, quindi spinto dalla abitudine ad agire in modo sconsiderato. Opinione ancor più ipocrita, atta ad allontanarci dalla percezione di una apparentemente ineluttabile realtà che ci inghiottisce, è il ritenere tali episodi circoscrivibili ad ambienti già definiti. Ma una riflessione si pone immediata. E non solo sul comportamento violento consumato all'interno delle mura domestiche, che pure si dipana in violenza e fisica e verbale - comportamento erroneamente vissuto nella coscienza collettiva come fenomeno privato, piuttosto che come problema pubblico.

La riflessione si estende al campo del sociale. Un continuo braccio di ferro praticato in famiglia può produrre un ribaltamento dei ruoli, innescando conseguentemente una drastica riduzione di autostima da parte delle vittime e una tendenza ad un progressivo isolamento. Il dato che ne scaturisce è l'accentuata cappa del silenzio e della omertà. Difficile certo denunciare chi si ama, chi si ritiene parte di se stessi per un rapporto "viscerale", chi è considerato appendice della propria carne, soprattutto perché l'amore concede la chance dello sperato ravvedimento del responsabile. Ma l'unico modo per trovare una via d'uscita è la denuncia dell'accaduto.

Noi, come mezzo di informazione, abbiamo l'obbligo di diffusione della notizia, perché raggiunga chiunque e incoraggi al grido chi si sente racchiuso nella morsa dell'omertà. Nessuno potrebbe giudicare, nessuno potrebbe puntare il dito contro. Il problema riguarda tristemente tutte le fasce sociali, culturali e religiose.