'Portare la toga di magistrato è un servizio, non un gioco di potere'

Lettera aperta del giudice Pietro Errede a Luca Palamara

giovedì 25 giugno 2020 0.57
Sulla tempesta che sta travolgendo la magistratura, per la clamorosa vicenda che ha portato all'espulsione di Luca Palamara dall'Anm - Associazione nazionale magistrati, interviene Pietro Errede, conosciuto nel territorio murgiano per aver svolto la funzione di giudice della sede distaccata del tribunale di Altamura. In precedenza è stato pm a Parma, conducendo tra le altre l'indagine per la triste storia del piccolo Tommy Onofri; oggi è giudice del Tribunale di Lecce.
Errede ha scritto una lettera aperta a Palamara, volentieri la ospitiamo tra le nostre notizie in modo da aprire una "finestra" su un tema di cui si discute molto.


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"Caro Luca, sono un collega che ha avuto la fortuna di fare altro prima di indossare la toga, e per questo forse sono meno affezionato alla categoria (pur nutrendo per essa profondo rispetto) di molti che hanno sempre e solo desiderato fare i magistrati nella loro vita, perché loro ragione esistenziale o forse perché vedevano quel traguardo anche come una sorta di promozione o riscatto sociale. Il mio percorso professionale è agevolmente conoscibile con un semplice "clic" su Google, quindi non mi dilungo né voglio farlo, perché le mie "medagliette" le conservo nella mia memoria e soprattutto di esse ne faccio tesoro ogni giorno, trasfondendole nelle mie decisioni a tutela dei diritti dei cittadini.

Ciò premesso e con l'amarezza nel cuore, prendo atto del "sistema" malato al quale ti riferisci nelle tue ormai quotidiane apparizioni mediatiche, ed aggiungo che alla domanda, che pure ti è stata rivolta, su cosa possa pensare o provare un cittadino che si imbatte nella giustizia, io non rispondo come hai fatto tu, ossia dicendo in pratica che bisogna prendere atto di un "sistema" malato.

Io a quel cittadino che si affida alla giustizia, invece, lo rassicurerei dicendogli che per fortuna di quel "sistema" malato molti, anzi la stragrande maggioranza di noi non ne fa parte, proprio perché non vive la toga come riscatto sociale o strumento di potere ma come servizio al cittadino, lavorando in silenzio e senza riflettori, magari anche sbagliando (sbaglia chi lavora infatti!) ma decidendo senza pregiudizi, senza secondi fini e dimenticando quella decisione, subito dopo averla presa con scienza e coscienza.

Nutro un grande senso di pena, invece, per tutti quelli che si muovono in modo diverso, esaltandosi per i riflessi pratici di una decisione che si deve solo prendere sulla base delle carte esaminate e senza guardare ai nomi delle parti o degli imputati, o addirittura cimentandosi in libere e censurabili interpretazioni di norme, pur di dimostrare il proprio "valore" o di saper essere bravissimi o chissà per quale altro scopo! Sicuramente non raggiungerò mai ruoli apicali perché non faccio parte del "sistema", ma sono certo che, continuando a portare la toga così come la intendo io, avrò le mie soddisfazioni ugualmente, perché le mie decisioni saranno solo mie e non di altri o per altri!

Certo che potrai chiarire nelle sedi opportune tutto quanto ti viene contestato e fiducioso che quel sistema malato a cui ti riferisci venga curato e riformato quanto prima, ti auguro buona fortuna!"
Pietro Errede