Piu forte di prima
Bullismo e solitudine, un’amara realtà
martedì 9 febbraio 2016
11.11
Oggi mi sento una persona forte perché ho superato le mie paure e le ansie che ho vissuto nei tre anni della scuola media.
Nelle scuole medie sono stata inserita in una classe di diciannove alunni dove non mi hanno mai vista come una compagna o meglio un'amica a cui puoi confidare le cose che ti passano per la testa. Mi ricordo che ogni volta che c'era l'intervallo i miei compagni si chiudevano a cerchio, ridevano e si divertivano mentre io restavo in disparte e se cercavo di avvicinarmi, venivo sempre respinta. E nemmeno il mondo dei social contribuiva ad accorciare le distanze: se commentavo un loro post mi rispondevano in malo modo. E via via che le persone aumentavano e i commenti crescevano, erano tutti contro di te. Chiedere aiuto ai professori? Una strategia inutile. Ogni volta che riferivo le angherie subite, pronto si levava il coro dei miei compagni di classe che si giustificavano e sminuivano l'accaduto, finendo per convincere anche il professore di turno. Insomma era sempre colpa mia. L'episodio che mi ha fatto pensare e che alcuni ragazzi "non hanno niente in testa" avvenne il giorno in cui mi ruppero la cartellina che conteneva il materiale di arte e tecnologia.
Per loro motivo di tante risa, per me l'ennesima pugnalata. A nessuno era venuto in mente di aiutarmi, meno che mai di chiedermi scusa. Tornavo a casa distrutta e mi lamentavo con i miei genitori, ma loro non mi capivano e non ci credevano perché non erano presenti all'accaduto. Mi dicevano sempre di lasciare perdere e di non arrabbiarmi perché tanto i miei compagni di classe erano incapaci di capire le sofferenze che mi provocavano. Nell'ora di educazione fisica, quando la professoressa ci divideva per gruppi prima di iniziare gli esercizi, io venivo scelta sempre per ultima ovvero venivo presa in giro per la mia altezza ed espulsa dal gruppo. Anche se quando facevo un punto o il professore mi faceva i complimenti per come avevo svolto gli esercizi, iniziavano a protestare. In pratica erano invidiosi. Invidia che toccava punte massime durante il periodo natalizio quando dai professori ricevevo dei regali: "A lei fate i pensierini a noi no" brontolavano sempre in coro. Non c'è cosa più brutta nella vita che la gelosia verso qualcuno.
Mi ricordo una gita scolastica a Taranto. Dovevamo salire sul pullman per prender posto e come al solito io ero messa da parte: seduta in prima fila con un professore o addirittura sola perché avevano già occupato i posti dietro. Quando di pomeriggio uscivo per fare una passeggiata, strada facendo incontravo le mie compagne di classe da cui mi ricevevo un sorrisone carico di beffa. Mi ritrovavo in un mondo che non era come volevo e come credevo. Ero sperduta nel nulla come se mi trovassi in un labirinto e stessi cercando la via d'uscita. Credo che non si possa capire cosa sia la solitudine sino a quando non si prova la cattiveria umana sulla propria pelle. Tra tutti, però, c'era Nicla, la mia compagna di banco che mi prestava il materiale quando me lo dimenticavo, chiacchierava con me, non era prevenuta nei miei confronti. Nicla era un punto di riferimento, forse lei è stata l'unica persona che ha capito come sono fatta realmente e non si è fermata all'apparenza. Perché, in fondo, chi mi conosce sa veramente chi sono. Oggi mi piace pensare che gli atteggiamenti dei miei compagni fossero il frutto più dell'immaturità che della cattiveria gratuita. Sembrerà strano ma oggi sento di doverli ringraziare. Io dalla solitudine, dalla tristezza ho colto un'occasione di crescita personale. Oggi posso dire con certezza di essere una persona nuova, con dei principi. Soprattutto una persona più forte.
di Michela Qafa
Nelle scuole medie sono stata inserita in una classe di diciannove alunni dove non mi hanno mai vista come una compagna o meglio un'amica a cui puoi confidare le cose che ti passano per la testa. Mi ricordo che ogni volta che c'era l'intervallo i miei compagni si chiudevano a cerchio, ridevano e si divertivano mentre io restavo in disparte e se cercavo di avvicinarmi, venivo sempre respinta. E nemmeno il mondo dei social contribuiva ad accorciare le distanze: se commentavo un loro post mi rispondevano in malo modo. E via via che le persone aumentavano e i commenti crescevano, erano tutti contro di te. Chiedere aiuto ai professori? Una strategia inutile. Ogni volta che riferivo le angherie subite, pronto si levava il coro dei miei compagni di classe che si giustificavano e sminuivano l'accaduto, finendo per convincere anche il professore di turno. Insomma era sempre colpa mia. L'episodio che mi ha fatto pensare e che alcuni ragazzi "non hanno niente in testa" avvenne il giorno in cui mi ruppero la cartellina che conteneva il materiale di arte e tecnologia.
Per loro motivo di tante risa, per me l'ennesima pugnalata. A nessuno era venuto in mente di aiutarmi, meno che mai di chiedermi scusa. Tornavo a casa distrutta e mi lamentavo con i miei genitori, ma loro non mi capivano e non ci credevano perché non erano presenti all'accaduto. Mi dicevano sempre di lasciare perdere e di non arrabbiarmi perché tanto i miei compagni di classe erano incapaci di capire le sofferenze che mi provocavano. Nell'ora di educazione fisica, quando la professoressa ci divideva per gruppi prima di iniziare gli esercizi, io venivo scelta sempre per ultima ovvero venivo presa in giro per la mia altezza ed espulsa dal gruppo. Anche se quando facevo un punto o il professore mi faceva i complimenti per come avevo svolto gli esercizi, iniziavano a protestare. In pratica erano invidiosi. Invidia che toccava punte massime durante il periodo natalizio quando dai professori ricevevo dei regali: "A lei fate i pensierini a noi no" brontolavano sempre in coro. Non c'è cosa più brutta nella vita che la gelosia verso qualcuno.
Mi ricordo una gita scolastica a Taranto. Dovevamo salire sul pullman per prender posto e come al solito io ero messa da parte: seduta in prima fila con un professore o addirittura sola perché avevano già occupato i posti dietro. Quando di pomeriggio uscivo per fare una passeggiata, strada facendo incontravo le mie compagne di classe da cui mi ricevevo un sorrisone carico di beffa. Mi ritrovavo in un mondo che non era come volevo e come credevo. Ero sperduta nel nulla come se mi trovassi in un labirinto e stessi cercando la via d'uscita. Credo che non si possa capire cosa sia la solitudine sino a quando non si prova la cattiveria umana sulla propria pelle. Tra tutti, però, c'era Nicla, la mia compagna di banco che mi prestava il materiale quando me lo dimenticavo, chiacchierava con me, non era prevenuta nei miei confronti. Nicla era un punto di riferimento, forse lei è stata l'unica persona che ha capito come sono fatta realmente e non si è fermata all'apparenza. Perché, in fondo, chi mi conosce sa veramente chi sono. Oggi mi piace pensare che gli atteggiamenti dei miei compagni fossero il frutto più dell'immaturità che della cattiveria gratuita. Sembrerà strano ma oggi sento di doverli ringraziare. Io dalla solitudine, dalla tristezza ho colto un'occasione di crescita personale. Oggi posso dire con certezza di essere una persona nuova, con dei principi. Soprattutto una persona più forte.
di Michela Qafa