Pesce dopato, un'inchiesta partita dal 2009
Casi di malore anche ad Altamura e Gravina. A Bari è "allarme cafodos"
domenica 1 agosto 2010
09.47
A Bari è allarme cafodos. In seguito ad alcuni casi di intossicazione di persone che, dopo aver mangiato alici comprate nel mercato di via Montegrappa nel quartiere Carrassi di Bari, hanno riscontrato malessere fisico, sono scattati controlli a tappeto tra i mercatini rionali, pescivendoli e, soprattutto, tra aziende di trasformazione di prodotti ittici. La diagnosi degli intossicati è sindrome sgombroide, una patologia di origine alimentare causata dal consumo di prodotti ittici alterati o contaminati da batteri. Gli uomini dei Nas, come apprendiamo da La Repubblica Bari.it, guidati dal comandante Antonio Citarella, hanno cercato di ricostruire la filiera che ha portato quel pesce nel mercato di Bari.
La partita arrivava da una grossa azienda di trasformazione di Bisceglie, tanto che casi simili erano stati segnalati anche a Gravina e ad Altamura. Le indagini sembravano, quindi, essersi arenate, quando sono arrivate le dichiarazioni di un informatore dei carabinieri, che ha raccontato come il cafodos fosse entrato in maniera importante nel mercato della trasformazione ittica pugliese. L'additivo veniva acquistato dalla Spagna prevalentemente tramite Internet. Per capire di cosa si tratta, basta fare un giro su un sito di qualche multinazionale del settore: «Il cafodos ha un'azione sbiancante - scrivono - non aggiunge nessun tipo di odore o sapore. Niente».
«In sostanza - spiegano gli investigatori - si tratta di un vero e proprio doping per il pesce. Con l'utilizzo dell'additivo si ringiovanisce, apparentemente, il prodotto ittico. E per noi diventa impossibile trovarlo. Il cafodos non risulta infatti nelle analisi perché si perde a contatto con il ghiaccio e con l'acqua. Però mantiene le sue caratteristiche e provoca appunto i problemi sanitari che si sono già verificati».
Le indagini, partite dal 2009, non si sono fermate qui. Per tutto il mese di agosto i carabinieri continueranno i loro controlli: visitare depositi e soprattutto ricostruire la filiera che porta il pesce vecchio, spesso tra l'altro spacciato come nostrano pur essendo importato, sulle bancarelle dei pescivendoli e nei ristoranti di tutta la Regione.
La partita arrivava da una grossa azienda di trasformazione di Bisceglie, tanto che casi simili erano stati segnalati anche a Gravina e ad Altamura. Le indagini sembravano, quindi, essersi arenate, quando sono arrivate le dichiarazioni di un informatore dei carabinieri, che ha raccontato come il cafodos fosse entrato in maniera importante nel mercato della trasformazione ittica pugliese. L'additivo veniva acquistato dalla Spagna prevalentemente tramite Internet. Per capire di cosa si tratta, basta fare un giro su un sito di qualche multinazionale del settore: «Il cafodos ha un'azione sbiancante - scrivono - non aggiunge nessun tipo di odore o sapore. Niente».
«In sostanza - spiegano gli investigatori - si tratta di un vero e proprio doping per il pesce. Con l'utilizzo dell'additivo si ringiovanisce, apparentemente, il prodotto ittico. E per noi diventa impossibile trovarlo. Il cafodos non risulta infatti nelle analisi perché si perde a contatto con il ghiaccio e con l'acqua. Però mantiene le sue caratteristiche e provoca appunto i problemi sanitari che si sono già verificati».
Le indagini, partite dal 2009, non si sono fermate qui. Per tutto il mese di agosto i carabinieri continueranno i loro controlli: visitare depositi e soprattutto ricostruire la filiera che porta il pesce vecchio, spesso tra l'altro spacciato come nostrano pur essendo importato, sulle bancarelle dei pescivendoli e nei ristoranti di tutta la Regione.