Omicidio Cassol, botta e risposta fra Parco delle Dolomiti Bellunesi e Parco dell'Alta Murgia
Il bracconiere chiede scusa, la famiglia del sacerdore ucciso perdona. Un passo scritto da don Francesco
giovedì 26 agosto 2010
10.28
"Don Francesco Cassol, parroco di Longarone, è morto nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia. Ucciso dalla fucilata di un bracconiere che non doveva essere lì, che non doveva avere un fucile da caccia di precisione di notte in un parco a caccia chiusa". Il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi si esprime così in una nota diffusa ieri. E aggiunge: "Un cacciatore che sbagliando ha ucciso un uomo che faceva un ritiro spirituale. Don Francesco cercava Dio camminando e dormendo all'aria aperta e per questo bivaccava dove poteva, come da sempre si fa sulle nostre montagne. Anche nei parchi nazionali, infatti, è consentito il bivacco d'emergenza, mentre è da autorizzare il campeggio (con strutture e lunghe permanenze)".
"A tutti i suoi cari, alla sua famiglia, a suo fratello Michele estensore del primo piano del parco e autore di tanti lavori importanti per la conservazione e fruizione di queste nostre Dolomiti, il più sentito cordoglio di tutto il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi", conclude la nota, accompagnata da una riflessione scritta da don Francesco Cassol che riportiamo a lato, nel box di approfondimento.
Alle dichiarazioni dell'Ente Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi risponde il direttore del Parco Nazionale dell'Alta Murgia Fabio Modesti: "E' quantomeno banale dire che nel Parco non doveva esserci il bracconiere: l'abbiamo sempre affermato con forza tanto da essere entrati in polemica aspra con il Corpo Forestale dello Stato per la carenza di sorveglianza soprattutto notturna nell'area protetta. Il criminale è il bracconiere omicida reo confesso Giovanni Ardino da Altamura e non certo don Cassol".
"Quanto al bivacco temporaneo – sottolinea Modesti - che sarebbe sempre consentito si conferma che ai sensi della disciplina di tutela tutt'ora vigente nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia, il campeggio anche temporaneo deve essere autorizzato. Il bivacco temporaneo e d'emergenza, cui si riferiscono gli amici delle Dolomiti Bellunesi, sarà quello effettuato in montagna durante le escursioni ad alta quota. Nell'Alta Murgia il contesto è ovviamente diverso e l'utilizzazione del suo territorio notevolmente antropizzato (al contario della "wilderness" dolomitica) richiede che l'Ente Parco autorizzi preventivamente lo stazionamento anche temporaneo per la stessa sicurezza degli escursionisti. Si comunica infine che l'Ente ha avviato, tramite l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, le procedure per il riconoscimento di persona offesa nel procedimento penale contro il bracconiere omicida e per la successiva costituzione di parte civile".
E mentre sorgono polemiche, a colpi di accuse e di controaccuse fra enti ed istituzioni, intorno ad un avvenimento così tragico, che avrebbe richiesto forse un po' di silenzio e di riflessione, la madre di don Francesco Cassol, per ''carità cristiana'', ha perdonato Giovanni Converso Ardino, il bracconiere altamurano che ha sparato il sacerdote. A far conoscere i sentimenti della signora Anita e' stato il vescovo di Belluno, monsignor Giuseppe Andrich, durante la messa esequiale svoltasi ieri pomeriggio nella Basilica Cattedrale della citta' veneta. L'uomo aveva chiesto scusa alla famiglia. I genitori del sacerdote hanno perdonato.
"A tutti i suoi cari, alla sua famiglia, a suo fratello Michele estensore del primo piano del parco e autore di tanti lavori importanti per la conservazione e fruizione di queste nostre Dolomiti, il più sentito cordoglio di tutto il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi", conclude la nota, accompagnata da una riflessione scritta da don Francesco Cassol che riportiamo a lato, nel box di approfondimento.
Alle dichiarazioni dell'Ente Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi risponde il direttore del Parco Nazionale dell'Alta Murgia Fabio Modesti: "E' quantomeno banale dire che nel Parco non doveva esserci il bracconiere: l'abbiamo sempre affermato con forza tanto da essere entrati in polemica aspra con il Corpo Forestale dello Stato per la carenza di sorveglianza soprattutto notturna nell'area protetta. Il criminale è il bracconiere omicida reo confesso Giovanni Ardino da Altamura e non certo don Cassol".
"Quanto al bivacco temporaneo – sottolinea Modesti - che sarebbe sempre consentito si conferma che ai sensi della disciplina di tutela tutt'ora vigente nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia, il campeggio anche temporaneo deve essere autorizzato. Il bivacco temporaneo e d'emergenza, cui si riferiscono gli amici delle Dolomiti Bellunesi, sarà quello effettuato in montagna durante le escursioni ad alta quota. Nell'Alta Murgia il contesto è ovviamente diverso e l'utilizzazione del suo territorio notevolmente antropizzato (al contario della "wilderness" dolomitica) richiede che l'Ente Parco autorizzi preventivamente lo stazionamento anche temporaneo per la stessa sicurezza degli escursionisti. Si comunica infine che l'Ente ha avviato, tramite l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, le procedure per il riconoscimento di persona offesa nel procedimento penale contro il bracconiere omicida e per la successiva costituzione di parte civile".
E mentre sorgono polemiche, a colpi di accuse e di controaccuse fra enti ed istituzioni, intorno ad un avvenimento così tragico, che avrebbe richiesto forse un po' di silenzio e di riflessione, la madre di don Francesco Cassol, per ''carità cristiana'', ha perdonato Giovanni Converso Ardino, il bracconiere altamurano che ha sparato il sacerdote. A far conoscere i sentimenti della signora Anita e' stato il vescovo di Belluno, monsignor Giuseppe Andrich, durante la messa esequiale svoltasi ieri pomeriggio nella Basilica Cattedrale della citta' veneta. L'uomo aveva chiesto scusa alla famiglia. I genitori del sacerdote hanno perdonato.
Don Francesco Cassol ha scritto:
Nomadi con occhi verso il cielo
Dovevo avere attorno ai quindici anni. Improvvisamente, mentre salivo con gli altri scout per il monte Talvena il capo reparto ci dice: "Bene, prepariamo il fuoco e le capanne per la notte!". Una semplice frase, col tono di chi sta dicendo la cosa più semplice del mondo, che al momento mi ha fatto correre un brivido giù per la schiena: "Ma come, dico a me stesso mentre con la piccola roncola taglio i rami per la capanna, dormiremo all'aperto? col freddo? sui sassi? con le bestie feroci? (allora avevo parecchia fantasia e già mi vedevo attaccato dai lupi)". Poi la sera che scende veloce, le ombre che si allungano e le paure che avanzano minacciose. Infine, dopo la cena e i canti attorno al fuoco, ci si ritira nel sacco a pelo.
La mia prima notte all'aperto, la prima di tante. Ricordo ancora la trepidazione, a farmi piccolo nel sacco a pelo, il recitare le preghiere della nonna e poi, dopo un po' l'alzare lo sguardo. Le fronde che fanno da tetto all'improvvisata capanna lasciano intravedere larghi prati di cielo. Stupendo. Immenso. Da togliere il fiato. E resto lì a guardare, e a pensare, e a pregare. E corro da una stella all'altra e cerco di andare più oltre e intuisco che c'è nel cielo qualcosa di grande e di vero.
Ho dormito ancora tante volte all'aperto, e tante ancora ne dormirò se Dio me lo concederà. E ogni volta, anche se stanco, alzo per poco gli occhi alle stelle. Ne hanno bisogno gli occhi. Questi occhi che di giorno indugiano sui libri, sulla strada che corre veloce e di sera si fissano sul vorticoso ed ebete caleidoscopio della TV; questi poveri piccoli occhi hanno bisogno di un cielo stellato, di un "oltre", di un "al di là" che faccia alzare sereni lo sguardo. "Se guarderemo sempre per terra finiremo per credere essa".
Ne ha bisogno la mente. Questa mente capace di grandi pensieri che vola più in alto del nostro ragionare e ci precede e ci dice "vieni senza paura"; questa povera piccola mente che scruta il mistero dell'uomo e di Dio ha bisogno di un cielo stellato per essere certa che non è un inseguire i fantasmi il pensare all'amore, alla pace, al destino dell'uomo. Ne ha bisogno il cuore. Questo cuore che batte per nulla e per nulla si ferma; questo povero piccolo cuore che desidera dare vita al mondo intero e vorrebbe scaldare il ghiaccio del Polo e nutrire il bambino del Ghana ha bisogno di un cielo stellato che dica che è vero, siamo tutti fratelli.
Ho dormito ancora tante volte all'aperto, e tante ancora ne dormirò se Dio me lo concederà. E ogni volta, anche se stanco, alzo per poco gli occhi alle stelle. E ringrazio Dio per avermi concesso di far parte di questa straordinaria tribù dei Goum: nomadi con occhi, mente e cuore che anelano a un cielo stellato perché nel cielo stellato, hanno la loro vera casa.
Dal comunicato stampa del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi
Nomadi con occhi verso il cielo
Dovevo avere attorno ai quindici anni. Improvvisamente, mentre salivo con gli altri scout per il monte Talvena il capo reparto ci dice: "Bene, prepariamo il fuoco e le capanne per la notte!". Una semplice frase, col tono di chi sta dicendo la cosa più semplice del mondo, che al momento mi ha fatto correre un brivido giù per la schiena: "Ma come, dico a me stesso mentre con la piccola roncola taglio i rami per la capanna, dormiremo all'aperto? col freddo? sui sassi? con le bestie feroci? (allora avevo parecchia fantasia e già mi vedevo attaccato dai lupi)". Poi la sera che scende veloce, le ombre che si allungano e le paure che avanzano minacciose. Infine, dopo la cena e i canti attorno al fuoco, ci si ritira nel sacco a pelo.
La mia prima notte all'aperto, la prima di tante. Ricordo ancora la trepidazione, a farmi piccolo nel sacco a pelo, il recitare le preghiere della nonna e poi, dopo un po' l'alzare lo sguardo. Le fronde che fanno da tetto all'improvvisata capanna lasciano intravedere larghi prati di cielo. Stupendo. Immenso. Da togliere il fiato. E resto lì a guardare, e a pensare, e a pregare. E corro da una stella all'altra e cerco di andare più oltre e intuisco che c'è nel cielo qualcosa di grande e di vero.
Ho dormito ancora tante volte all'aperto, e tante ancora ne dormirò se Dio me lo concederà. E ogni volta, anche se stanco, alzo per poco gli occhi alle stelle. Ne hanno bisogno gli occhi. Questi occhi che di giorno indugiano sui libri, sulla strada che corre veloce e di sera si fissano sul vorticoso ed ebete caleidoscopio della TV; questi poveri piccoli occhi hanno bisogno di un cielo stellato, di un "oltre", di un "al di là" che faccia alzare sereni lo sguardo. "Se guarderemo sempre per terra finiremo per credere essa".
Ne ha bisogno la mente. Questa mente capace di grandi pensieri che vola più in alto del nostro ragionare e ci precede e ci dice "vieni senza paura"; questa povera piccola mente che scruta il mistero dell'uomo e di Dio ha bisogno di un cielo stellato per essere certa che non è un inseguire i fantasmi il pensare all'amore, alla pace, al destino dell'uomo. Ne ha bisogno il cuore. Questo cuore che batte per nulla e per nulla si ferma; questo povero piccolo cuore che desidera dare vita al mondo intero e vorrebbe scaldare il ghiaccio del Polo e nutrire il bambino del Ghana ha bisogno di un cielo stellato che dica che è vero, siamo tutti fratelli.
Ho dormito ancora tante volte all'aperto, e tante ancora ne dormirò se Dio me lo concederà. E ogni volta, anche se stanco, alzo per poco gli occhi alle stelle. E ringrazio Dio per avermi concesso di far parte di questa straordinaria tribù dei Goum: nomadi con occhi, mente e cuore che anelano a un cielo stellato perché nel cielo stellato, hanno la loro vera casa.
Dal comunicato stampa del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi