L'inarrestabile piacere delle dipendenze

A. Lattanzi in "Devozione". Intervista all'autrice del libro

lunedì 21 febbraio 2011 11.37
A cura di Angela Colonna
In un paese in cui l'ammaliante richiamo del canto delle sirene sembra provenire dalle tavole imbandite dei superaffollati pub e pizzerie per lobotomizzati, il Club Silencio appare un piccolo tempio della cultura e segna il tempo di una contro-cultura, capace di rivendicare cifrari di un pensiero attivo. Un salottino che concilia il confronto, il dialogo e la riflessione. "Devozione" di Antonella Lattanzi, Einaudi 2010, diventa, in questo empireo del nomadismo del pensiero, pretesto per parlare di temi tanto pragmatici quanto idealistici. Perché devozione è attaccamento reale alla droga, venerazione e dedizione alla sostanza, ma anche un ideale rito, culto e smania verso ogni nostra dipendenza. Vita e morte appaiono intrinsecamente abbracciati in una danza romanzesca dove i protagonisti, due giovani eroinomani, "muoiono" ogni qualvolta hanno una forzata percezione della vita, quella donata da una siringa, quella che con dolore, piacere e lentezza passa attraverso le loro vene, e vivono ogni qualvolta il tempo maledettamente contingente dona loro sporadici spazi di lucidità.

Luigi Abiusi poeta, saggista, critico letterario e cinematografico, ha introdotto il romanzo evidenziando la congerie fisica, corporale narrata nel testo, "non esiste vita umana senza dimensione corporale, si afferma la quiddità dell'esserci, si è nella misura in cui si è essenzialmente corpo, tale dimensione corporea appare tracimante. Pertanto il libro è violento, espressionista, commovente." Vicina l'opinione di Enzo Mansueto, giornalista Corriere del Mezzogiorno, "questo è un romanzo sul corpo, soprattutto femminile, mercificato. Scritto sul corpo, nel corpo, disturbante e instabile tra i piani e le persone del racconto, che inacidisce e commuove." E aggiunge, "E' un romanzo di eroina, una storia d'amore tra Pablo e Nikita che incorrono nella dipendenza dalla droga come massima rappresentazione di essa e tutto il romanzo, sui vari registri stilistici e stratificazioni narrative sembra sviscerare quel vuoto che le tante dipendenze contemporanee creano. Il libro risulta disturbante perché il tossico è ricercato in primis nella sua umanità."

Antonella Lattanzi, autrice del romanzo ha risposto ad alcune nostre domande.
-Devozione è il tuo primo romanzo, quando nasce la tua passione per la scrittura?
Ho iniziato a leggere da piccola, i miei genitori mi hanno inculcato il piacere della lettura e la scrittura conseguentemente c'è stata da sempre.
-Hai scelto un tema difficile, l'eroina. Quali le ricerche per renderlo così tangibile, data la descrizione tanto dettagliata che sembra che tutto passi attraverso i tuoi occhi?
Sono contenta di dare questa sensazione. Penso che bisogna raccontare ciò che si conosce benissimo, bisogna avvicinarsi il più possibile alla materia che vuoi narrare. Per capire il tema, mi sono finta eroinomane, ho vestito i panni dei miei personaggi. Sono stata a Napoli per esempio.
-Cosa ha di te Nikita?
La passione della danza e per la scrittura. Ha una madre molto diversa dalla mia, ma quando scrivevo di lei, io pensavo inevitabilmente alla mia.
-La droga nel libro appare in realtà un canale attraverso cui raccontare altro, come un significato lato della dipendenza che giustifica il titolo del romanzo, "Devozione", ed "è storia di ogni nostra dipendenza, della devozione tutta umana a trasformare i desideri in mostri".
Non ho scritto un reportage, ma un libro che parlando di altro, affronta temi in realtà universali. L'eroina è la dipendenza per eccellenza, ma la dipendenza è una caratteristica principale della nostra epoca, come se l'epoca del consumo si fosse spinta ancora oltre. Il consumismo è arraffare, prendere, per sentirti appagato e felice. Oggi non ti senti più appagato, ma il vuoto che senti dentro non può più essere riempito, quindi nasce la dipendenza.
-Il tema dell'amore. "L'amore di un tossico è una guerra"
Un tossico non ha accesso diretto alle persone che ama, ma c'è sempre l'eroina di mezzo, deve sempre combattere contro l'autodistruzione, senza combattere non arriverebbe a niente.
-Cosa divide Nikita e Pablo?
L'eroina non è l'elemento di unione, ma di divisione.
-I temi della vita e della morte. "Morire fa paura solo quando sei lucido", "Quanto coraggio ci vuole ad essere drogato".
La morte è soltanto l'effetto dell'eroina, ma ciò che spinge alla droga è il velo di serenità, di felicità. L'eroinomane non è un morto vivente, si avvicina all'eroina non per morire, ma per piacere. L'eroina è un modo di cercare la felicità.
-Quale risposta tentiamo di dare alla questione droga, dato che le campagne governative sembrano quasi ridicole e patetiche di fronte all'autoalimentarsi del problema?
La letteratura appunto. Strappare l'omertà e parlare di questi temi anche se appaiono fuori tempo o troppo forti, raccontare con passione, impegno e sincerità.
-Ci sono delle pagine in cui si narra la violenza, il corpo femminile trova l'annullamento di se stesso, la lettura di quei passi porta dolore.
Non ho avuto paura di arrivare all'orrore, raccontando dall'interno del personaggio, senza rinunciare al piacere del racconto stesso.