In manette boss ed esponenti dei clan Di Cosola e Stramaglia
Fra i novanta arrestati, anche nove altamurani. Appartenevano al clan Di Cosola
venerdì 5 novembre 2010
14.29
Con l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsioni, su ordini di custodia cautelare in carcere emessi dal Gip del Tribunale di Bari, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia del capoluogo pugliese, sono stati arrestati, questa mattina all'alba, boss ed affiliati di due dei clan più agguerriti del territorio barese, Di Cosola e Stramaglia. In carcere 52 persone appartenenti al primo, 38 al secondo. Fra questi, un militare dell'Esercito in servizio a Foggia. 6 le donne. 22 delle suddette ordinanze sono state notificate in carcere ad altrettanti esponenti di entrambi i "clan".
Fra gli arrestati, ci sono nove altamurani appartenenti al clan Di Cosola. Sono Paolicelli Donato, Paolicelli Francesco, Popolizio Angelo, Caivano Vincenzo, Caputo Giuseppe, Castellaneta Saverio, Ostuni Giovanni, Chironna Maria e Creanza Angela.
Interessate dall'operazione di Polizia Giudiziaria la città di Bari e numerosi Comuni della Provincia, ma anche le città di Novara, Udine, Milano e Cerignola (FG), Foggia e Milazzo (ME), dove sono stati rintracciati ed arrestati alcuni esponenti dei due clan. L'operazione, denominata "Hinterland", ha visto impegnati oltre 600 uomini della Polizia di Stato, coordinati dal Servizio Centrale Operativo (SCO) di Roma, e si è avvalsa anche dell'apporto del reparto Prevenzione Crimine "Puglia", di Unità Cinofile antidroga ed antiesplosivo ed elicotteri. Da anni in guerra fra loro, i due pericolosi clan si sono contesi il controllo esclusivo non solo di interi quartieri di Bari (Carbonara e Ceglie del Campo in modo particolare), ma anche di intere cittadine dell'hinterland barese (Adelfia, Casamassima, Gravina, Capurso, Bitritto, Sannicandro, Altamura, Santeramo in Colle e Cassano Murge, nonché Grottaglie e San Marzano di San Giuseppe, in provincia di Taranto).
In ballo gli ingenti proventi dello spaccio di droga e delle estorsioni a commercianti e imprenditori (soprattutto del settore eno-oleario, molto fiorente in alcune zone del barese). Per ottenere il predominio, i due clan si sono fronteggiati come in una vera e propria guerra, che ha prodotto decine fra omicidi e ferimenti. Il più eclatante proprio quello del boss di uno dei due clan. Con un'esecuzione di stampo mafioso veniva, infatti, ucciso, il 24 aprile del 2009, Michelangelo Stramaglia, anche se la responsabilità non è riconducibile ai Di Cosola. Mentre, poco più di un anno prima, il 10 agosto del 2008, perdeva la vita, in un agguato ad Adelfia, Martino Salatino, ritenuto vicino agli Stramaglia. Di contro, negli stessi anni, la risposta della Magistratura e della Polizia non è stata da meno. Nel dicembre dello scorso anno 13 esponenti del clan Di Cosola sono stati già arrestati. Altre 14 persone appartenenti ai due clan sono finite in manette, in flagranza di reato, per spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi.
Assicurate alla giustizia anche le persone ritenute responsabili dell'omicidio Salatino, Antonio Foggetti e Marino Giulio, appartenenti al clan Di Cosola. Gli stessi, per tale reato, sono stati condannati in primo grado a 30 anni di reclusione. Sequestrate le due pistole utilizzate per consumare l'agguato a Salatino Martino. Nelle varie operazioni venivano, inoltre, sequestrati 13 chili di cocaina, 20 di hashish, 2 di eroina, 12 pistole, 2 kalashnikov e numerose munizioni di vario calibro.
L'inchiesta condotta dalla Procura Antimafia di Bari ha preso l'avvio dall'incendio di un'autovettura. Oltre tre anni fa (nel 2007) si è presentato alla Squadra Mobile di Bari un uomo di un paese della Provincia per denunciare il secondo atto di danneggiamento nei confronti della sua auto. Gli indizi che il denunciante ha rivelato in quell'occasione hanno dato l'avvio a tutta un'attività investigativa che ha portato, ieri notte, al colpo inferto alle due associazioni criminali. Anni di intercettazioni telefoniche, ambientali, appostamenti, pedinamenti, riprese video, utilizzo di sistemi di localizzazioni Gps hanno permesso agli investigatori non solo di ricostruire i traffici illeciti, ma anche l'organigramma dei due clan. Impostati sulla base di schemi di organizzazione di tipo mafiosa, i due clan avevano al proprio vertice un boss (Antonio Di Cosola e Michelangelo Stramaglia) che si avvaleva di luogotenenti (per il clan Di Cosola, Antonio Abbinante e Antonio Battista) che, a loro volta, controllavano capi-zona alla guida di vari gruppi territoriali dislocati in ogni Comune. Un vero e proprio rito di affiliazione, poi, li univa al sodalizio criminale che garantiva agli appartenenti e alle loro famiglie assistenza per i detenuti, compresa la difesa legale e il sostegno economico in caso di necessità. Un'assistenza "socio-economica" che cementava l'appartenenza all'organizzazione. La necessità di estendere all'hinterland le proprie attività illecite era dettata non solo dall'obiettivo di espandere il proprio predominio in nuove zone - il che avrebbe significato un numero sempre più ampio di tossicodipendenti "clienti" e nuovi commercianti e imprenditori da taglieggiare - ma anche da quello di avere più possibilità di manovra dopo che i controlli delle forze dell'ordine sulla città capoluogo si erano intensificati a seguito di una più pressante politica preventiva di controllo del territorio da parte dello Stato. Insomma, una mafia che si "delocalizza" non solo alla ricerca di nuovi mercati, ma anche alla ricerca di più ampi spazi di operatività.
Gli ingenti quantitativi di droga acquistata da fornitori-intermediari baresi, cerignolani, campani, ma anche direttamente dall'Olanda e dal Belgio, venivano poi confezionati in singole dosi (in codice, nelle intercettazioni, "film", "merit", "malboro") e venduti ai tossici di Bari, ma soprattutto della Provincia e dell'intera Regione. Ma in questa "politica di espansione" i due clan sono venuti in contatto in maniera violenta. Insomma, pur provenendo da storie criminali completamente diverse – Di Cosola, già nella metà degli anni Ottanta, aveva fatto parte della prima organizzazione mafiosa del Barese, La Rosa, e nel 1996, nell'ambito del processo "Conte Ugolino" veniva condannato dalla Corte d'Assise d'Appello a 12 anni, anche se già nel 2003 veniva rimesso in liberta; Stramaglia uno dei contrabbandieri più attivi del Sud-Barese, in stretta collaborazione con il noto boss brindisino, Francesco Prudentino – i due capi clan avversari hanno deciso di estendersi nell'hinterland Barese per incrementare i propri profitti illeciti. Uno dei maggiori fronti di questa guerra sanguinaria, alla quale si è fatto riferimento, è stata la cittadina di Adelfia. E' qui che per conto dei Di Cosola ha operato una delle personalità più pericolose dell'organizzazione, Vito Chiumarulo (già detenuto) che, nonostante fosse stato posto negli anni precedenti a regime di arresti domiciliari, utilizzava la sua abitazione per summit di affiliati. Quella di Chiumarulo era percepita come una figura carismatica nel contesto criminale. "Esperto di diritto", era lui ad approntare le difese legali per gli affiliati del clan che incappavano nella rete della Giustizia e a riferirle agli avvocati. Nel clan avverso, Stramaglia, invece, particolarmente attivi Stramaglia Michele ad Adelfia e Stefano Barbetta, detto "il grosso", che incuteva terrore a Cassano Murge. In alcune intercettazioni telefoniche, Barbetta ha dimostrato disprezzo per gli addetti delle Forze dell'Ordine, disprezzo che si è concretizzato anche con il tamponamento di un'auto dei Vigili Urbani. Non da meno il ruolo delle donne nelle due organizzazioni, attive sia nello spaccio delle sostanze stupefacenti, sia in quello della gestione del denaro derivante. L'inchiesta si è anche avvalsa della collaborazione di alcuni pentiti appartenenti ad entrambi i clan, due di loro passati anche da un clan all'altro. Sono stati loro a fornire agli investigatori preziosi elementi che hanno portato al risultato odierno.
Per la prima volta a Bari un'operazione anti-mafia ha interessato due clan avversi. L'operazione odierna si è conclusa con l'arresto di 90 degli indagati. All'appello mancano due persone, allo stato attivamente ricercate su tutto il territorio nazionale.
Fra gli arrestati, ci sono nove altamurani appartenenti al clan Di Cosola. Sono Paolicelli Donato, Paolicelli Francesco, Popolizio Angelo, Caivano Vincenzo, Caputo Giuseppe, Castellaneta Saverio, Ostuni Giovanni, Chironna Maria e Creanza Angela.
Interessate dall'operazione di Polizia Giudiziaria la città di Bari e numerosi Comuni della Provincia, ma anche le città di Novara, Udine, Milano e Cerignola (FG), Foggia e Milazzo (ME), dove sono stati rintracciati ed arrestati alcuni esponenti dei due clan. L'operazione, denominata "Hinterland", ha visto impegnati oltre 600 uomini della Polizia di Stato, coordinati dal Servizio Centrale Operativo (SCO) di Roma, e si è avvalsa anche dell'apporto del reparto Prevenzione Crimine "Puglia", di Unità Cinofile antidroga ed antiesplosivo ed elicotteri. Da anni in guerra fra loro, i due pericolosi clan si sono contesi il controllo esclusivo non solo di interi quartieri di Bari (Carbonara e Ceglie del Campo in modo particolare), ma anche di intere cittadine dell'hinterland barese (Adelfia, Casamassima, Gravina, Capurso, Bitritto, Sannicandro, Altamura, Santeramo in Colle e Cassano Murge, nonché Grottaglie e San Marzano di San Giuseppe, in provincia di Taranto).
In ballo gli ingenti proventi dello spaccio di droga e delle estorsioni a commercianti e imprenditori (soprattutto del settore eno-oleario, molto fiorente in alcune zone del barese). Per ottenere il predominio, i due clan si sono fronteggiati come in una vera e propria guerra, che ha prodotto decine fra omicidi e ferimenti. Il più eclatante proprio quello del boss di uno dei due clan. Con un'esecuzione di stampo mafioso veniva, infatti, ucciso, il 24 aprile del 2009, Michelangelo Stramaglia, anche se la responsabilità non è riconducibile ai Di Cosola. Mentre, poco più di un anno prima, il 10 agosto del 2008, perdeva la vita, in un agguato ad Adelfia, Martino Salatino, ritenuto vicino agli Stramaglia. Di contro, negli stessi anni, la risposta della Magistratura e della Polizia non è stata da meno. Nel dicembre dello scorso anno 13 esponenti del clan Di Cosola sono stati già arrestati. Altre 14 persone appartenenti ai due clan sono finite in manette, in flagranza di reato, per spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi.
Assicurate alla giustizia anche le persone ritenute responsabili dell'omicidio Salatino, Antonio Foggetti e Marino Giulio, appartenenti al clan Di Cosola. Gli stessi, per tale reato, sono stati condannati in primo grado a 30 anni di reclusione. Sequestrate le due pistole utilizzate per consumare l'agguato a Salatino Martino. Nelle varie operazioni venivano, inoltre, sequestrati 13 chili di cocaina, 20 di hashish, 2 di eroina, 12 pistole, 2 kalashnikov e numerose munizioni di vario calibro.
L'inchiesta condotta dalla Procura Antimafia di Bari ha preso l'avvio dall'incendio di un'autovettura. Oltre tre anni fa (nel 2007) si è presentato alla Squadra Mobile di Bari un uomo di un paese della Provincia per denunciare il secondo atto di danneggiamento nei confronti della sua auto. Gli indizi che il denunciante ha rivelato in quell'occasione hanno dato l'avvio a tutta un'attività investigativa che ha portato, ieri notte, al colpo inferto alle due associazioni criminali. Anni di intercettazioni telefoniche, ambientali, appostamenti, pedinamenti, riprese video, utilizzo di sistemi di localizzazioni Gps hanno permesso agli investigatori non solo di ricostruire i traffici illeciti, ma anche l'organigramma dei due clan. Impostati sulla base di schemi di organizzazione di tipo mafiosa, i due clan avevano al proprio vertice un boss (Antonio Di Cosola e Michelangelo Stramaglia) che si avvaleva di luogotenenti (per il clan Di Cosola, Antonio Abbinante e Antonio Battista) che, a loro volta, controllavano capi-zona alla guida di vari gruppi territoriali dislocati in ogni Comune. Un vero e proprio rito di affiliazione, poi, li univa al sodalizio criminale che garantiva agli appartenenti e alle loro famiglie assistenza per i detenuti, compresa la difesa legale e il sostegno economico in caso di necessità. Un'assistenza "socio-economica" che cementava l'appartenenza all'organizzazione. La necessità di estendere all'hinterland le proprie attività illecite era dettata non solo dall'obiettivo di espandere il proprio predominio in nuove zone - il che avrebbe significato un numero sempre più ampio di tossicodipendenti "clienti" e nuovi commercianti e imprenditori da taglieggiare - ma anche da quello di avere più possibilità di manovra dopo che i controlli delle forze dell'ordine sulla città capoluogo si erano intensificati a seguito di una più pressante politica preventiva di controllo del territorio da parte dello Stato. Insomma, una mafia che si "delocalizza" non solo alla ricerca di nuovi mercati, ma anche alla ricerca di più ampi spazi di operatività.
Gli ingenti quantitativi di droga acquistata da fornitori-intermediari baresi, cerignolani, campani, ma anche direttamente dall'Olanda e dal Belgio, venivano poi confezionati in singole dosi (in codice, nelle intercettazioni, "film", "merit", "malboro") e venduti ai tossici di Bari, ma soprattutto della Provincia e dell'intera Regione. Ma in questa "politica di espansione" i due clan sono venuti in contatto in maniera violenta. Insomma, pur provenendo da storie criminali completamente diverse – Di Cosola, già nella metà degli anni Ottanta, aveva fatto parte della prima organizzazione mafiosa del Barese, La Rosa, e nel 1996, nell'ambito del processo "Conte Ugolino" veniva condannato dalla Corte d'Assise d'Appello a 12 anni, anche se già nel 2003 veniva rimesso in liberta; Stramaglia uno dei contrabbandieri più attivi del Sud-Barese, in stretta collaborazione con il noto boss brindisino, Francesco Prudentino – i due capi clan avversari hanno deciso di estendersi nell'hinterland Barese per incrementare i propri profitti illeciti. Uno dei maggiori fronti di questa guerra sanguinaria, alla quale si è fatto riferimento, è stata la cittadina di Adelfia. E' qui che per conto dei Di Cosola ha operato una delle personalità più pericolose dell'organizzazione, Vito Chiumarulo (già detenuto) che, nonostante fosse stato posto negli anni precedenti a regime di arresti domiciliari, utilizzava la sua abitazione per summit di affiliati. Quella di Chiumarulo era percepita come una figura carismatica nel contesto criminale. "Esperto di diritto", era lui ad approntare le difese legali per gli affiliati del clan che incappavano nella rete della Giustizia e a riferirle agli avvocati. Nel clan avverso, Stramaglia, invece, particolarmente attivi Stramaglia Michele ad Adelfia e Stefano Barbetta, detto "il grosso", che incuteva terrore a Cassano Murge. In alcune intercettazioni telefoniche, Barbetta ha dimostrato disprezzo per gli addetti delle Forze dell'Ordine, disprezzo che si è concretizzato anche con il tamponamento di un'auto dei Vigili Urbani. Non da meno il ruolo delle donne nelle due organizzazioni, attive sia nello spaccio delle sostanze stupefacenti, sia in quello della gestione del denaro derivante. L'inchiesta si è anche avvalsa della collaborazione di alcuni pentiti appartenenti ad entrambi i clan, due di loro passati anche da un clan all'altro. Sono stati loro a fornire agli investigatori preziosi elementi che hanno portato al risultato odierno.
Per la prima volta a Bari un'operazione anti-mafia ha interessato due clan avversi. L'operazione odierna si è conclusa con l'arresto di 90 degli indagati. All'appello mancano due persone, allo stato attivamente ricercate su tutto il territorio nazionale.