Ad un anno dalla morte di don Francesco Cassol ad Altamura, Giovanni Ardino parla di quella notte
«Ho sbagliato, è vero, ma alla fine non sono un delinquente». Intervista al bracconiere che uccise per errore il sacerdote veneto
mercoledì 10 agosto 2011
21.00
Si ritiene un «lupo solitario», Giovanni Ardino. A distanza di un anno dalla morte di don Francesco Cassol, il bracconiere che per errore uccise il sacerdote veneto parla di quel tragico evento. Era la notte fra il 21 ed il 22 agosto scorsi. Don Francesco, parroco di Longarone, si era fermato nei pressi del Pulo per dormire all'aperto con i suoi "goumiers". Un colpo di fucile lo raggiunse all'addome mentre era nel sacco a pelo. Ardino aveva scambiato il gruppo per un branco di cinghiali.
Un anno di silenzio. L'uomo ora vive con la madre 86enne. Difeso dall'avvocato Raffaele Padrone, è in attesa di giudizio. «La sentenza non è stata ancora emessa», dichiara. Lavora nel settore della gomma plastica. A poche centinaia di metri dal luogo in cui si era riunito il gruppo sorge una masseria.
Dall'1 al 14 agosto, intanto, i "goumiers" sono tornati a salutare la Murgia. Hanno chiesto ed ottenuto dall'Ente Parco l'autorizzazione al bivacco notturno e alla realizzazione di un focolare scaldavivande. «Le piane sconfinate delle Murge - si legge sul sito del Raid Goum - con la loro bellezza fatta di pietre, di masserie, di grandi cieli che toccano l'anima e l'infinito. Un itinerario in una terra povera e, al tempo stesso, ricca di uomini generosi, di storia antica e di natura selvaggia». Fino allo scorso anno non si sapeva nulla di questi cammini spirituali, fatti di silenzi, di riflessione, di preghiera e, soprattutto, di ricerca. Un'esperienza di «otto giorni nel deserto, una scuola di libertà e di impegno vissuto». Itinerari sotto il sole - con cartina e bussola alla mano - e di pernottamenti all'aperto, in mezzo alla natura.
Durante l'intervista Giovanni Ardino ha gli occhi lucidi. Si percepisce chiaramente il peso del suo dolore.
Che cosa è accaduto quella notte?
Prima di dire come è andata, voglio sottolineare che la licenza di caccia ed il porto d'armi rappresentavano per me un sogno nel cassetto. Un sogno che avevo ormai abbandonato da tempo. Era una passione ereditata da mio padre, da mio fratello. Improvvisamente c'è stato un "ritorno di fiamma". Ho preso il porto d'armi e la licenza di caccia a cinquant'anni. Purtroppo le uniche aree in cui è presente il cinghiale sono quelle del Parco Nazionale dell'Alta Murgia. Ero consapevole di andare incontro a sanzioni, dato che in un'area protetta c'è il divieto di caccia, ma non avrei mai pensato di trovarmi di fronte ad un fatto del genere.
Dunque lei non era assolutamente al corrente del fatto che ci fossero delle persone in quella zona…
No. Poche persone lo sapevano. Nemmeno le Forze dell'Ordine ne erano al corrente. Non era stata ufficializzata la notizia di questi raduni sulla Murgia e di questi pernottamenti all'aperto. Ci sono tante coincidenze assurde e strane. Da quattro o cinque giorni ero dietro ad un branco di cinghiali.
Quindi lei era già stato in quella zona…
Sì, proprio in quel punto, ma nei giorni precedenti non c'era nessuno. L'ho detto anche al Pubblico Ministero, al Giudice, che lo hanno riscontrato. È verità. Ero solo, mi reputo un po' un "lupo solitario". Lì c'era un tubo che perdeva acqua, gli animali ad una certa ora della notte andavano ad abbeverarsi. L'accanimento mi ha fatto perdere la lucidità di soffermarmi a pensare se fossero cinghiali o meno. Nel momento in cui sono arrivato sul posto, quella notte, ho visto delle ombre scure fra l'erba chiara. Ero convinto fossero i cinghiali. Pochi secondi ed è successo quello che è successo.
Come si è accorto che, invece, erano persone…
Non mi sono accorto che erano persone, però poi ho capito che non erano cinghiali. Nel momento in cui ho sparato non scappava nessuno. Gli animali selvatici, quando spari, se ne colpisci uno, rimane fermo, ma gli altri scappano.
Quindi in quel momento nessuno si è mosso…
No. In quel momento mi sono reso conto che c'era qualcosa che non andava. Il panico poi ha fatto il resto.
Quindi lei è scappato…
Sì. C'è chi ha detto che mi sono avvicinato, ma questo non lo ricordo, ero sotto shock. Non ricordo più nemmeno io che cosa sia successo. Poi, rendendomi conto dell'accaduto, avevo intenzione di costituirmi subito per capire davvero che cosa fosse successo. Però la paura ha avuto il sopravvento e non l'ho fatto. La domenica sono stato chiamato presso il Comando dei Carabinieri. Ho continuato a tenermi tutto dentro, cercando di non ammettere quanto avvenuto. Non ci credevo e non ci credo ancora oggi. Poi il lunedì mi sono fatto forza, ho telefonato ad alcuni amici fidati e gli ho confessato tutto. Mi dissero che non c'era tempo da perdere e che bisognava seguire l'iter necessario.
Lei come ha appreso la notizia di ciò che era avvenuto?
Dalla televisione. Speravo che la televisione mi desse una notizia diversa da quella che temevo, invece non è stato così.
Cosa ha immaginato nel momento in cui si è reso conto che quello non era un branco di cinghiali?
La fine del mondo. Io, poi, sono suscettibile, emotivo. Non mangiavo né dormivo più. Non parlavo con nessuno, ero diventato irascibile.
Quella notte, dopo lo sparo, non si sono sentite le voci dei ragazzi?
Sì, ho sentito delle voci. Dunque mi sono reso conto - anche se non ci volevo credere - che fossero davvero persone.
Come è cambiata la sua vita da allora?
Mia madre è una persona anziana, nonostante ciò ha provato a mettersi nei miei panni per comprendermi. Mia sorella, i miei fratelli mi sono stati molto vicini. Devo dire anche grazie a loro se sono quasi riuscito a superare questo momento di enorme difficoltà. Ho sbagliato e mi assumo tutte le responsabilità del mio errore. Certi avvenimenti sono indelebili. Mi sono dedicato con tutto me stesso al lavoro, ma, nonostante ciò, la mattina, alcune volte, quando mi sveglio, penso ancora "ma è vero che è successa questa cosa?!". Mi ha fatto enormemente piacere la reazione della famiglia di don Francesco. Ho scritto ai genitori una lettera. Sono davvero grato a loro per aver capito cosa sia davvero successo. La madre pregava per suo figlio e per chi lo aveva ucciso. Quelle parole, lette sui giornali, mi sono rimaste nel cuore.
Lei ha mai incontrato i familiari di don Francesco Cassol?
No.
Se dovesse incontrarli, cosa direbbe loro?
Niente. Il silenzio sarebbe la miglior risposta. Loro capirebbero.
Lei ha messo da parte la passione per la caccia?
Sì. Per il momento ho un rigetto per questa attività. Non riesco più a guardare un'arma.
È tornato nel posto dove si recò quella notte?
No, non sono più tornato lì.
Come vede la Murgia ora?
Sempre bella. È sempre stata così. Ma il Parco Nazionale dell'Alta Murgia preclude il libero accesso persino per il pascolo, è un Parco chiuso a chiave e tutti lo tollerano. Quando poi accadono questi episodi o altro, se ne ricordano. Faccio riferimento alle polemiche scaturite da ciò che è avvenuto. Il gruppo non aveva autorizzazioni, non perché questo serva a discolpare me. Qualcuno ha tentato di fare delle speculazioni pseudo-politiche sul dolore di una famiglia e sulla sventura di un uomo.
Come è la sua vita ora?
Un po' più sola. Condividevo con tanti miei amici la passione per la caccia. Molti si sono allontanati. Non gliene faccio una colpa, è una reazione naturalissima.
Vorrebbe dire qualcosa al gruppo di "goumiers" che anche quest'anno si riunisce sulla Murgia?
Mi piacerebbe incontrarlo per chiedere umilmente perdono. Vorrei dire loro di prendere precauzioni affinché non avvengano più queste cose. Purtroppo è morto un uomo per mano mia e per la negligenza di chissà chi. Facciamo in modo che queste cose non succedano più. Tutti, me compreso, devono assumersi le proprie responsabilità. Avevo messo in conto di ricevere sanzioni perché cacciavo in zona protetta, ma non avrei mai immaginato di incontrare di notte persone che dormivano all'aperto sulla Murgia. Nessuno sapeva che il gruppo era lì. Quella notte l'orologio segnava mezzanotte e mezza. Ci si è accorti del fatto la mattina all'alba. Alle 6 è giunta la comunicazione in Caserma. Un uomo è morto con una fucilata, ma potrebbero succedere tanti altri incidenti. Dunque bisogna prendere precauzioni. Il gruppo era sistemato in piena Murgia, all'aperto, a mo' di branco. Tutti erano in un sacco a pelo grigio-verde. Gli investigatori fecero una simulazione dopo qualche giorno e confermarono che non si riusciva a distinguere se la sagoma fosse di un uomo o di un animale. Ho sbagliato, è vero, ma alla fine non sono un delinquente come mi ha immaginato e descritto qualcuno.
Quanta distanza c'era fra lei e il gruppo?
Una settantina di metri. Sia il nucleo investigativo di Altamura che quello di Bari in questa situazione hanno capito il problema e sono stati molto professionali ed umani. Dopo il colpo e durante la corsa caddi. In quel momento poteva partire anche un altro colpo di fucile e colpirmi. Almeno non sarei stato vittima ed accusato.
Un anno di silenzio. L'uomo ora vive con la madre 86enne. Difeso dall'avvocato Raffaele Padrone, è in attesa di giudizio. «La sentenza non è stata ancora emessa», dichiara. Lavora nel settore della gomma plastica. A poche centinaia di metri dal luogo in cui si era riunito il gruppo sorge una masseria.
Dall'1 al 14 agosto, intanto, i "goumiers" sono tornati a salutare la Murgia. Hanno chiesto ed ottenuto dall'Ente Parco l'autorizzazione al bivacco notturno e alla realizzazione di un focolare scaldavivande. «Le piane sconfinate delle Murge - si legge sul sito del Raid Goum - con la loro bellezza fatta di pietre, di masserie, di grandi cieli che toccano l'anima e l'infinito. Un itinerario in una terra povera e, al tempo stesso, ricca di uomini generosi, di storia antica e di natura selvaggia». Fino allo scorso anno non si sapeva nulla di questi cammini spirituali, fatti di silenzi, di riflessione, di preghiera e, soprattutto, di ricerca. Un'esperienza di «otto giorni nel deserto, una scuola di libertà e di impegno vissuto». Itinerari sotto il sole - con cartina e bussola alla mano - e di pernottamenti all'aperto, in mezzo alla natura.
Durante l'intervista Giovanni Ardino ha gli occhi lucidi. Si percepisce chiaramente il peso del suo dolore.
Che cosa è accaduto quella notte?
Prima di dire come è andata, voglio sottolineare che la licenza di caccia ed il porto d'armi rappresentavano per me un sogno nel cassetto. Un sogno che avevo ormai abbandonato da tempo. Era una passione ereditata da mio padre, da mio fratello. Improvvisamente c'è stato un "ritorno di fiamma". Ho preso il porto d'armi e la licenza di caccia a cinquant'anni. Purtroppo le uniche aree in cui è presente il cinghiale sono quelle del Parco Nazionale dell'Alta Murgia. Ero consapevole di andare incontro a sanzioni, dato che in un'area protetta c'è il divieto di caccia, ma non avrei mai pensato di trovarmi di fronte ad un fatto del genere.
Dunque lei non era assolutamente al corrente del fatto che ci fossero delle persone in quella zona…
No. Poche persone lo sapevano. Nemmeno le Forze dell'Ordine ne erano al corrente. Non era stata ufficializzata la notizia di questi raduni sulla Murgia e di questi pernottamenti all'aperto. Ci sono tante coincidenze assurde e strane. Da quattro o cinque giorni ero dietro ad un branco di cinghiali.
Quindi lei era già stato in quella zona…
Sì, proprio in quel punto, ma nei giorni precedenti non c'era nessuno. L'ho detto anche al Pubblico Ministero, al Giudice, che lo hanno riscontrato. È verità. Ero solo, mi reputo un po' un "lupo solitario". Lì c'era un tubo che perdeva acqua, gli animali ad una certa ora della notte andavano ad abbeverarsi. L'accanimento mi ha fatto perdere la lucidità di soffermarmi a pensare se fossero cinghiali o meno. Nel momento in cui sono arrivato sul posto, quella notte, ho visto delle ombre scure fra l'erba chiara. Ero convinto fossero i cinghiali. Pochi secondi ed è successo quello che è successo.
Come si è accorto che, invece, erano persone…
Non mi sono accorto che erano persone, però poi ho capito che non erano cinghiali. Nel momento in cui ho sparato non scappava nessuno. Gli animali selvatici, quando spari, se ne colpisci uno, rimane fermo, ma gli altri scappano.
Quindi in quel momento nessuno si è mosso…
No. In quel momento mi sono reso conto che c'era qualcosa che non andava. Il panico poi ha fatto il resto.
Quindi lei è scappato…
Sì. C'è chi ha detto che mi sono avvicinato, ma questo non lo ricordo, ero sotto shock. Non ricordo più nemmeno io che cosa sia successo. Poi, rendendomi conto dell'accaduto, avevo intenzione di costituirmi subito per capire davvero che cosa fosse successo. Però la paura ha avuto il sopravvento e non l'ho fatto. La domenica sono stato chiamato presso il Comando dei Carabinieri. Ho continuato a tenermi tutto dentro, cercando di non ammettere quanto avvenuto. Non ci credevo e non ci credo ancora oggi. Poi il lunedì mi sono fatto forza, ho telefonato ad alcuni amici fidati e gli ho confessato tutto. Mi dissero che non c'era tempo da perdere e che bisognava seguire l'iter necessario.
Lei come ha appreso la notizia di ciò che era avvenuto?
Dalla televisione. Speravo che la televisione mi desse una notizia diversa da quella che temevo, invece non è stato così.
Cosa ha immaginato nel momento in cui si è reso conto che quello non era un branco di cinghiali?
La fine del mondo. Io, poi, sono suscettibile, emotivo. Non mangiavo né dormivo più. Non parlavo con nessuno, ero diventato irascibile.
Quella notte, dopo lo sparo, non si sono sentite le voci dei ragazzi?
Sì, ho sentito delle voci. Dunque mi sono reso conto - anche se non ci volevo credere - che fossero davvero persone.
Come è cambiata la sua vita da allora?
Mia madre è una persona anziana, nonostante ciò ha provato a mettersi nei miei panni per comprendermi. Mia sorella, i miei fratelli mi sono stati molto vicini. Devo dire anche grazie a loro se sono quasi riuscito a superare questo momento di enorme difficoltà. Ho sbagliato e mi assumo tutte le responsabilità del mio errore. Certi avvenimenti sono indelebili. Mi sono dedicato con tutto me stesso al lavoro, ma, nonostante ciò, la mattina, alcune volte, quando mi sveglio, penso ancora "ma è vero che è successa questa cosa?!". Mi ha fatto enormemente piacere la reazione della famiglia di don Francesco. Ho scritto ai genitori una lettera. Sono davvero grato a loro per aver capito cosa sia davvero successo. La madre pregava per suo figlio e per chi lo aveva ucciso. Quelle parole, lette sui giornali, mi sono rimaste nel cuore.
Lei ha mai incontrato i familiari di don Francesco Cassol?
No.
Se dovesse incontrarli, cosa direbbe loro?
Niente. Il silenzio sarebbe la miglior risposta. Loro capirebbero.
Lei ha messo da parte la passione per la caccia?
Sì. Per il momento ho un rigetto per questa attività. Non riesco più a guardare un'arma.
È tornato nel posto dove si recò quella notte?
No, non sono più tornato lì.
Come vede la Murgia ora?
Sempre bella. È sempre stata così. Ma il Parco Nazionale dell'Alta Murgia preclude il libero accesso persino per il pascolo, è un Parco chiuso a chiave e tutti lo tollerano. Quando poi accadono questi episodi o altro, se ne ricordano. Faccio riferimento alle polemiche scaturite da ciò che è avvenuto. Il gruppo non aveva autorizzazioni, non perché questo serva a discolpare me. Qualcuno ha tentato di fare delle speculazioni pseudo-politiche sul dolore di una famiglia e sulla sventura di un uomo.
Come è la sua vita ora?
Un po' più sola. Condividevo con tanti miei amici la passione per la caccia. Molti si sono allontanati. Non gliene faccio una colpa, è una reazione naturalissima.
Vorrebbe dire qualcosa al gruppo di "goumiers" che anche quest'anno si riunisce sulla Murgia?
Mi piacerebbe incontrarlo per chiedere umilmente perdono. Vorrei dire loro di prendere precauzioni affinché non avvengano più queste cose. Purtroppo è morto un uomo per mano mia e per la negligenza di chissà chi. Facciamo in modo che queste cose non succedano più. Tutti, me compreso, devono assumersi le proprie responsabilità. Avevo messo in conto di ricevere sanzioni perché cacciavo in zona protetta, ma non avrei mai immaginato di incontrare di notte persone che dormivano all'aperto sulla Murgia. Nessuno sapeva che il gruppo era lì. Quella notte l'orologio segnava mezzanotte e mezza. Ci si è accorti del fatto la mattina all'alba. Alle 6 è giunta la comunicazione in Caserma. Un uomo è morto con una fucilata, ma potrebbero succedere tanti altri incidenti. Dunque bisogna prendere precauzioni. Il gruppo era sistemato in piena Murgia, all'aperto, a mo' di branco. Tutti erano in un sacco a pelo grigio-verde. Gli investigatori fecero una simulazione dopo qualche giorno e confermarono che non si riusciva a distinguere se la sagoma fosse di un uomo o di un animale. Ho sbagliato, è vero, ma alla fine non sono un delinquente come mi ha immaginato e descritto qualcuno.
Quanta distanza c'era fra lei e il gruppo?
Una settantina di metri. Sia il nucleo investigativo di Altamura che quello di Bari in questa situazione hanno capito il problema e sono stati molto professionali ed umani. Dopo il colpo e durante la corsa caddi. In quel momento poteva partire anche un altro colpo di fucile e colpirmi. Almeno non sarei stato vittima ed accusato.